Dalla comparsa dell’elettronica nel mondo della musica ad oggi, la tecnologia ha fatto passi da gigante, con sintetizzatori, campionamenti e nuovi strumenti che si sono infiltrati in quasi tutti i generi musicali. Oggi, quindi, vi accompagnerò in un breve percorso alla scoperta dell’evoluzione della musica elettronica in 10 album. O forse dovrei dire, delle musiche elettroniche, al plurale. Perché una caratteristica costante della musica elettronica è sempre stata la ricerca dell’innovazione, la sperimentazione, in un continuo proiettarsi verso nuove possibilità della musica.
E questo ha portato alla genesi di una miriade di sottogeneri, con nuovi termini e definizioni che spesso nascono dall’esigenza di distinguersi dalla musica mainstream, dalle derive più commerciali che di volta in volta si appropriano delle definizioni di genere esistenti. Così la techno si è diramata in techno sperimentale, techno intelligente, hardgroove, minimal, trance, big beat e via dicendo.
La EDM (electornic dance music) ha dato vita alla house, alla acid house, all’ambient house, alla progressive house, alla tribal house, e così via. Dalla ambient derivano drum’n’bass, new age, chillout e downtempo. E ancora potremmo citare la musica jungle, industrial, trip hop, dub eccetera. Decisamente una giungla di termini e sottogeneri in cui anche un esperto farebbe fatica ad orientarsi… Tutte queste musiche vengono comunque in genere accomunate sotto il termine generico di “electronica”, a cui farò riferimento in questo articolo.
Quando negli anni Sessanta l’elettronica divenne il terreno di sperimentazione per i compositori più avanguardistici della musica cosiddetta “colta”, venne immediatamente utilizzata per costruire un ponte tra musica “colta” e musica “popolare”, come uno strumento per superare una distinzione percepita come desueta e “classista”. In particolare, il krautrock, o “kosmische musik”, si sviluppò in Germania con il contributo fondamentale di compositori come Karlheinz Stockhausen. E praticamente tutti gli interpreti della scena elettronica di oggi indicano i Kraftwerk come ispirazione e punto di riferimento.
Per approfondire la storia della kosmiche musik, vi rimando all’articolo dedicato al krautrock. Qui mi limiterò a sottolineare l’impulso sperimentale e innovativo che animava quella scena, impulso che la accomuna con lo space rock e le sperimentazioni minimaliste e della musica per ambienti che si svilupparono in seguito, sempre con lo sguardo rivolto al futuro, tecnologico e fantascientifico.
Negli anni Ottanta, l’elettronica era ormai entrata a far parte anche del mondo del pop, dove troviamo come esempi eccellenti le produzioni di Laurie Anderson, le sperimentazioni di Brian Eno e i Depeche Mode, tra gli altri. Ma batterie elettroniche, tastiere e suoni elettronici diventano ben presto il marchio di fabbrica di altre forme musicali, come il dark dei Cure o il gothic dei Clan of Xymox.
La scena elettronica contemporanea si sviluppa all’interno del panorama post punk, dei rave intesi come raduni di riappropriazione di spazi urbani e dell’arte dei graffitisti. In particolare, negli anni Novanta a Bristol si sviluppano molti dei sottogeneri e dei sound che ancora oggi caratterizzano gran parte dell’elettronica. Di questa scena sono figli ad esempio gli Orbital, che molti considerano pionieri e puristi dell’elettronica. Ma allo stesso tempo, la sperimentazione più pura viene accostata a tentativi più mainstream, per non dire commerciali, come Born Slippy, brano degli Underworld divenuto celebre dopo essere stato usato nel film Trainspotting.
O come le produzioni big beat di Fatboy Slim, ex bassista degli Housemartins che, nella sua produzione elettronica, si muove in bilico fra sperimentazione, con campionamenti ed elaborazioni, e musica dance. O ancora dei Daft Punk, duo francese che debutta alla fine degli anni Novanta. La musica elettronica ormai si è conquistata un posto anche nella scena rock: i Nine Inch Nails di Trent Reznor, ad esempio, pubblicano nel 1994 The Downward Spiral, album che include la celeberrima Hurt. I Prodigy esordiscono nel 1992 con l’album Out of Space, gettando le basi per il nuovo sottogenere big beat con il loro collage creativo di campionamenti rielaborati con effetti.
In Italia, gli Almamegretta mescolano trip hop e dub con canzoni napoletane, con risultati interessanti. E la sperimentazione elettronica diventa anche un territorio di ricerca in cui nasce una nuova prospettiva etnomusicologica. Fioriscono progetti in cui i campionamenti utilizzati sono stati registrati direttamente dagli artisti in luoghi remoti, per poi essere assemblati a creare mondi improbabili, collage sonori dove culture lontane si incontrano in armonia, nuove utopie e mondi di fantasia fatti di suoni mai sentiti prima.
Così, i Deep Forest pubblicano nel 1992 il loro primo album new age con campionamenti di conversazioni dei pigmei Baka del Camerun. I Sacred Spirit incentrano la propria produzione new age sulle atmosfere e i campionamenti dei nativi americani. I Transglobal Underground di Natacha Atlas mescolano invece la musica elettronica con la musica etnica mediorientale, in una sorta di world music di avanguardia. E ancora, i Banco de Gaia prendono campionamenti da varie culture del mondo mescolandoli in una rielaborazione originale, in cui l’idea di fondo sembra essere l’interpretazione dell’elettronica come una forma di sciamanesimo moderno.
In ambito più sperimentale, vorrei ancora citare gli Skinny Puppy, anglo-canadesi direttamente influenzati dai Legendary Pink Dots, pionieri del rock industrial e dell’electro-industrial. Una citazione merita senza dubbio anche Aphex Twin, considerato da molti un portabandiera della techno. Ma anche le incursioni dell’elettronica in album come Scoprio dei Death in Vegas, pubblicato nel 2002 e ricco di campionamenti e sintetizzatori, album che include il brano Hands Around My Throat.
E i progetti come quello dei Gorillaz, creazione di Damon Albarn in cui il britpop del Blur incontra le elaborazioni elettroniche e i campionamenti del mondo dei trip hop. Infine, il progetto Nearly God, pseudonimo di Tricky, già membro dei Massive Attack, ci mostra un altro aspetto delle produzioni elettroniche più recenti: la ricerca costante di collaborazioni con vocalist di eccezione. Nell’album Nearly God del 1996, troviamo ad esempio Neneh Cherry, Alison Moyet e Bjork!
Ho deciso di iniziare questo elenco in maniera “soft” per non turbare subito le orecchie più sensibili… Pubblicato nel 1994, Dummy è l’album di esordio dei Portishead, un pilastro dell’allora nascente stile trip hop. Contiene tracce memorabili, come Mysterons, in cui emerge l’uso del theremin, oltre alle famose Roads e Glory Box. Nel video vi propongo invece Numb, a dimostrazione della ricchezza di questa produzione.
Ancora un album che non dovrebbe urtare le orecchie più delicate… Anzi, a dire il vero i Massive Attack sono forse la band più mainstream in questo elenco. Nel 1998 pubblicano Mezzanine, album costruito praticamente sui campionamenti presi da band storiche famose e meno famose, secondo una pratica definita “plunderphonics”: una sorta di “pirataggio sonoro”, un’appropriazione di suoni pubblicati che poi vengono rielaborati e montati in un collage sonoro. Questo è l’album che contiene la celeberrima Teardrop, con Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins alla voce.
Ok, adesso tenetevi forte… I System 7 sono un duo composto da Steve Hillage e Miquette Giraudy, rispettivamente chitarrista e tastierista dei Gong. Due personaggi fondamentali nel panorama musicale contemporaneo e certo due che non ti aspetti in questo elenco. Ma qui le cose si fanno interessanti. Perché accanto ai synth e alle elaborazioni elettroniche, troviamo una batteria elettronica in deciso stile techno, il tutto mescolato alle chitarre psichedeliche a creare una sorta di “psychelic trance”. I System 7 sono stati tra i primi a portare dal vivo uno spettacolo elettronico. Phoenix, pubblicato nel 1998, è il loro nono album, da cui ho scelto Song of the Phoenix.
Dallo stesso ambito space rock da cui sono emersi i System 7 arrivano anche gli Orb, dediti però a un’elettronica in genere più “ambient”. Pubblicato nel 1991, Adventures Beyond the Ultraworld è il loro album di esordio. Si tratta di una pietra miliare nel genere ambient house. È evidentemente da qui che hanno preso ispirazione i Porcupine Tree per il loro Voyage 34. Per capire le complessità legate alla produzione degli Orb, vi consiglio di cercare il video del loro live a Glastonbury del 2013, quando si esibirono insieme a un ensemble di percussioni etniche e canti tradizionali del Ghana. Nel video, invece, vi propongo un loro grande classico, Little Fluffy Clouds.
Un nome e un album, del 2005, che probabilmente non hanno bisogno di tante presentazioni. Pionieri del genere big beat, i Chemical Brothers utilizzano spesso anche campionamenti presi da musiche etniche. Nel video, uno dei loro brani più famosi ed energetici, Galvanize.
L’elettronica dei Future Sound of London si muove tra ambient e sperimentazione. Elementi che sono evidenti in Lifeforms, album pubblicato nel 1994, e che sono a mio parere ben rappresentati dalla traccia di apertura, Cascade.
Bjork è da sempre un’artista che ricerca e sperimenta con ogni innovazione che ha a disposizione. I suoi album Post, del 1995, che vede anche la collaborazione di Tricky, e Homogenic, del 1997, sono considerati fra i più interessanti nella prospettiva della musica elettronica. Qui l’islandese Bjork giustappone i campionamenti e le rielaborazioni elettroniche a melodie sognanti e archi, spesso con veri e propri ensemble di violini dal vivo. I ritmi sono diradati, quasi come quelli delle produzioni dei connazionali Roykksopp. Jòga è un brano tratto da Homogenic in cui questa ricerca risulta evidente.
Gli Asian Dub Foundation sono una band inglese formata da immigrati di origine asiatica, fortemente impegnati contro il razzismo e a favore dell’integrazione e della mescolanza etnica. Enemy of the Enemy, del 2003, contiene tracce come Fortress Europe, esplicitamente schierata contro le politiche di immigrazione europee, ma soprattutto 1000 Mirrors, brano che vede la partecipazione di Sinead O’ Connor alla voce.
E arriviamo alle scelte più sperimentali e probabilmente meno note. I Four Tet, in questo album del 2001, introducono la definizione di folktronica, mescolando campionamenti, plunderphonics, ritmi trip hop e tribali. Il loro ultimo album Three è fresco di stampa. Ma io qui ho scelto Glue of the World, traccia di apertura di Pause, album pubblicato nel 2001.
Ricercatrice molto attenta a tutte le novità tecnologiche legate all’elettronica, Holly Herndorn è una musicista americana che ha fatto di Berlino la sua base artistica. Nel suo ultimo lavoro, Proto, del 2019, ha collaborato con esperti di intelligenza artificiale per creare una sorta di alter ego virtuale con cui interagire nella fase compositiva. Ma già nel suo primo album Movement, del 2012, si era fatta notare per il sapiente uso di campionamenti di suoni di gesti quotidiani, ordinari, intimi, rielaborati e assemblati in musica. Fade è la seconda traccia dell’album.
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