
Dazi e contro dazi, ecco cosa può succedere in una guerra commerciale, l’Italia ha già dato nel 1887 - Blitzquotidiano.it (Francesco Crispi da Wikipedia)
Dazi e contro dazi. Cosa può succedere in una guerra commerciale internazionale lo si può vedere bene nel racconto che Luigi Luzzatto fa della guerra commerciale che l’Italia condusse contro la Francia a fine ‘800, fra il 1887 e il 1892, nel suo libro “L’ economia italiana dal 1861 al 1894”,scritto in occasione del centenario dell’Unita e pubblicato da Einaudi nel 1968: un testo sacro per chi voglia mettere i nostri mali recenti in una prospettiva più ampia.
Il dramma si compie fra il 1887 e il 1892.
Il Governo italiano voleva lavare l’onta della occupazione francese del 1881 della Tunisia, la cui popolazione europea era costituita da molti italiani e soprattutto da siciliani.
Vediamo cosa accadde: le nostre esportazioni verso la Francia, scrive Luzzatto, che prima della rottura rappresentavano in valore circa i due quinti delle nostre esportazioni totali, diminuirono in proporzioni sensibilmente maggiori delle esportazioni francesi in Italia, come risulta dalle poche cifre seguenti (medie annuali del commercio spe-ciale, in milioni di lire):
Effetto della guerra dei dazi

Importazioni in Italia da 307 a 164 milioni.
Esportazioni in Francia da 444 a 165 milioni.
Totale interscambio da 75I a 329 milioni.
La perdita delle nostre esportazioni, limitata al confronto fra il 1887 ed il 1890, sfioro i 300 milioni, esattamente 79 milioni, cioè di piú dei due terzi della nostra esportazione totale verso la Francia.
La perdita, precisa Gino Luzzatto, fu in parte compensata dall’aumento delle nostre esportazioni in Svizzera, ed anche, sebbene in proporzioni minori, in Inghilterra, in Belgio, in Olanda, di dove forse una parte delle esportazioni italiane veniva inoltrata in Francia.
Ma quell’aumento, considerevole nel 1888, diminuiva negli anni successivi, e nella media del triennio ’88-90 non raggiunse un terzo della perdita.
Del resto, che pure nel 1888 i nuovi sbocchi delle nostre esportazioni non avessero potuto compensare se non in minima misura la perdita del mercato francese, lo si deduce dalle cifre globali del commercio estero dell’Italia, che dai 2607 milioni di lire del 1887, scese nel 1888, secondo la statistica doganale, ad un totale di 2067 milioni, con una perdita di 540 milioni, che si mantenne con qualche alto e basso anche nel quinquennio successivo, e toccò anzi la misura massima nel 189I.
Oltre al vino e alla seta, i prodotti piú colpiti furono il riso, il bestiame ed i prodotti del caseificio.
L’esportazione totale del vino in fusti, che tra il 1871 ed il 1878 si era mantenuta intorno ad una media annuale di 400 000 ettolitri, aveva incominciato dal 1879 un rapido movimento ascendente, determinato dalla forte richiesta del mercato francese, ed aveva raggiunto il massimo nel 1887 con la cifra di 3 milioni e 606 mila ettolitri.
Prendendo come termine di confronto la media del quadriennio 1884-87, di 2 234 000 ettolitri annuali, la discesa a soli 1 829 000 nel 1888 appare assai considerevole. La discesa continuò e si fece sempre piú grave nei due anni seguenti: nel 1889 non si esportarono che I 439 000 ettolitri, e nel 1890 si scese a 936 000.
La perdita per i centri di produzione, e per tutta l’economia italiana, risulta anche piú grave quando si tenga conto della contemporanea discesa dei prezzi, che da una media annuale di L. 33,57 l’ettolitro nel periodo 1881-87, precipitarono a 25 lire ed anche, talvolta, ad una cifra inferiore, in modo che se l’esportazione media del periodo 1884-87 determinava un afflusso annuale di circa 75 milioni di lire, quella del 1890 lo riduceva a soli 23 milioni, con una perdita cioè di 52 milioni, perdita sensibilmente aggravata dal fatto che, soprattutto in Sicilia ed in Puglia, non solo si erano sostenute forti spese per la piantagione di nuovi e vasti vigneti, ma per estendere queste piantagioni si erano sacrificate altre colture, e in particolare quella dell’ulivo.
Il crollo della seta
Non meno e forse piú grave del danno subíto dalla viticoltura e dal commercio del vino, fu quello che la rottura con la Francia portò alla sericoltura, che aveva, com’è ben noto, i suoi massimi centri nella Lombardia, nel Veneto e nel Piemonte. È vero bensí che, secondo le statistiche ufficiali, la quantità totale della seta greggia esportata dall’Italia nel 1888 sarebbe stata di appena 1/40 (I000 quintali circa) inferiore a quella esportata nel 1887, e questo forse per l’incremento subíto dalle esportazioni in Svizzera, in Austria, in Germania, nei Paesi Bassi e in Inghil terra, che avrebbe in parte compensato la diminuzione delle esportazio ni in Francia.
Ma se il danno non fu, forse, molto alto per quantità, esso raggiunse proporzioni paurose nei prezzi. I bozzoli freschi, che nel 1870 si erano venduti anche a L. 10 il chilogrammo, discendevano poi gradualmente a L. 5, a 4, a 2,50, per toccare nel 1894 il minimo di L. 2.
Calcolata in media la diminuzione di prezzo, fra il 1887 e il 1888, in L. 2,50 per chilogrammo, corrispondente ad una diminuzione di 25 lire il chilogrammo per la seta greggia, la perdita totale nelle esportazioni italiane di bozzoli e di seta greggia sarebbe stata di circa 100 milioni di lire.
Alle perdite sulla seta si devono aggiungere, sebbene di proporzioni molto minori, quelle sul riso, la canapa ed il bestiame; anche essi, nella quasi totalità, di provenienza dall’Italia settentrionale.