
Peppino Di Vittorio è una leggenda, non un sindacalista per Antonio Del Giudice che a lui dedica il suo ultimo libro - litzquotidiano.it (foto Amsa)
Peppino Di Vittorio è una leggenda, non un sindacalista comunista protagonista delle lotte del dopoguerra in Italia, per Antonio Del giudice che a lui dedica il suo ultimo libro, “Figlio della terra, La leggenda di Peppino Di Vittorio”, Castelvecchi Editore.
Il racconto ha inizio quando, nel 1957, Riccardo, ragazzino di otto anni, sbircia dalla finestra di casa della nonna un corteo di uomini donne bambini tenuti per mano o portati in spalla. Un funerale senza la bara. Una foto a mezzobusto di un uomo in giacca e cravatta nera. Riccardo allunga lo sguardo più che può, e resta a bocca aperta. La nonna lo richiama alla realtà: è il funerale di Peppino Di Vittorio, un comunista senza Dio. Il nonno assiste alla scena: comunista sì, ma un uomo per bene che ha speso la vita per i poveri e per i lavoratori.
Riccardo e Di Vittorio 20 anni dopo

Venti anni dopo, novembre 1977, Riccardo è giornalista alla Gazzetta del Mezzogiorno di Bari. Il direttore Oronzo Valentini gli affida il compito di ricordare l’uomo del funerale senza bara. Le ore passate in archivio, poi la scrittura con mano incerta sulla tastiera di una Lettera 22.
Chi era Peppino di Vittorio? Un ragazzo di Cerignola che aveva perduto suo padre, morto nel tentativo di salvare dall’alluvione gli animali del padrone. Ragazzo che a otto anni diventava capofamiglia. Lavoro di giorno e letture di notte. Le prime spese per acquistare il vocabolario Zingarelli, anche lui nato a Cerignola. La svolta della vita: un suo amico 18enne ucciso dai gendarmi durante uno sciopero.
Cresciuto in questo clima, Peppino fa la sua scelta di vita: la famiglia e i lavoratori. Unico uomo politico che porta con sé la famiglia nell’esilio in Francia durato 12 anni; e poi per due anni a Mosca dove Palmiro Togliatti deve proteggerlo dagli umori di Stalin. E poi la guerra di Spagna, dove è comandante della Brigata Garibaldi e, piuttosto che sparare ai fascisti arrivati dall’Italia, cerca di convincerli a cambiare casacca. Molti abbandonano la camicia nera di Benito Mussolini.
Di Vittorio, arrestato in Francia e spedito a Ventotene, partecipa poco al dibattito politico. Prende in affitto un campo, pianta verdure per la compagnia, compra una capra per il latte a colazione. Soffre la distanza dai suoi ragazzi, Baldina e Vindice. Studia il progetto per una Italia nuova. Immagina un primo Statuto dei lavoratori, che proporrà da Padre Costituente.
Quel 3 novembre del 1957 a Lecco, poche prima che un infarto lo portasse via, la Russia mandava in orbita l’indimenticabile cagnetta Laika. La camera ardente a Milano. Poi da Milano a Roma, seicento chilometri di binario, uomini donne ragazzi, accatastati in lutto e in lacrime. Benigno Zaccagnini, cattolico democristiano, al passaggio del feretro lo saluta con rispetto: “Andrai in paradiso”.
Antonio Del Giudice, “Figlio della terra, La leggenda di Peppino Di Vittorio”, Castelvecchi Editore, euro 14,25