Italia di destra? Una lettura fuori dal coro della nostra storia recente viene proposta da
Italo Bocchino in un libro ricco di idee, intuizioni, polemiche.
Italo Bocchino ha tracciato una sintesi della storia politica italiana seguita da una analisi intrecciata a spunti polemici, in un libro di 256 pagine intitolato “L’Italia è di destra: Contro le bugie della sinistra” (editore Solferino, prezzo 17,10 euro per l’edizione stampata, 11,99 euro per la versione Kindle).
Una sintesi della introduzione e l’indice dei capitoli danno una idea della struttura del libro e della sua portata.
La prima parte del titolo riflette la storia, la seconda anticipa le polemiche.
Oltre le polemiche poi c’è un gioco molto abile: cancellare ogni ombra di fascismo dai riflessi della fiamma di Fratelli d’Italia, per accreditare il partito nel ruolo di continuatore e erede della tradizione centrista e moderata della democrazia cristiana.
Forse non sarà possibile adottarlo nelle scuole, come vorrebbero Ignazio La Russa e Arianna Meloni, ma certo sarà lettura utile e interessante per più di una generazione: non solo per chi c’era e ha vissuto da cittadino e spettatore le alterne vicende del dopoguerra, ma anche per chi è nato negli anni ‘80 e ‘90 e percepisce le vicende degli ultimi 80 anni come un groviglio avvolto dalla mistificante nebulosa della politica, esacerbata dalle convinzioni e dalla ideologia.
Per tutti il libro di Italo Bocchino è una lettura non convenzionale della nostra storia recente e presente.
Non tutto è condivisibile. L’adesione al premierato come pietra fondante della terza repubblica non si addice a una persona intelligente e di buon senso come Italo Bocchino, che non può non vedere come si tratti solo di un modo un po’ rozzo e brutale per acquisire il controllo della coalizione anestetizzando e relegando al ruolo di sleeping partners Forza Italia e Lega.
C’è molto Santa Giorgia, ma col passare dei mesi le qualità personali e i risultati conseguiti di Meloni rendono credibili gli elogi.
Con l’avvento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi è davvero iniziata la Terza Repubblica? si chiede Italo Bocchino a un certo punto.
La risposta è articolata e complessa. Ma per spiegare il successo di Giorgia Meloni con le masse vale di più la battuta di un netturbino riportata nel libro: «Lei è una di noi».
La vittoria di Meloni, scrive Italo Bocchino, ha un triplo valore storico. Perché conferma che l’Italia, nei momenti decisivi, sceglie la destra; perché, per la prima volta in età repubblicana, diventa presidente del Consiglio un esponente di destra; e perché a diventarlo, per la prima volta in assoluto, è una donna.
Nel 2022 come nel 1948 e nel 1994, gli italiani sono stati chiamati a fare una scelta radicale, a scegliere da che parte stare. E, tutte e tre le volte, si sono buttati a destra.
Nel 2022, per la terza volta nella storia repubblicana, gli italiani sono stati chiamati a scegliere il loro destino. Gli sfidanti erano di fatto Giorgia Meloni ed Enrico Letta. Posti di nuovo di fronte a un bivio, gli elettori hanno scelto ancora una volta la destra. È stato anche lo scontro tra popolo ed élite: da una parte la Meloni nazionalpopolare, dall’altra il Letta figlio della tecnocrazia, da una parte un’Italia fiera, tosta e a testa alta, dall’altra un’Italia appiattita, molle e incistata negli apparati sovranazionali.
Il popolo ha scelto sé stesso, votando Fratelli d’Italia e i partiti della coalizione di destra. Il successo elettorale di Fratelli d’Italia, che ottiene il 26% dei voti, e l’ingresso di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi rappresentano l’ultima svolta di quello che lo stesso presidente del Consiglio aveva definito «capriccio della storia».
Meloni era partita dal modesto 1,9% del 2013 per arrivare al 26% nel giro di nove anni. Il tutto all’insegna della coerenza, senza mai allearsi con la sinistra né occhieggiandole, senza mai distaccarsi dal ventre profondo del suo elettorato. Il superamento del berlusconismo poteva avvenire solo da destra: prima ci aveva provato Matteo Salvini, arrivando a un passo dal traguardo, poi ci è riuscita la Meloni.
Giorgia Meloni si è guardata bene di replicare gli errori di Renzi e Salvini.
Anche la parabola di Matteo Renzi le è stata utile a capire cosa non bisogna fare. L’allora premier fu protagonista di una pagina politica straordinaria, che incantò gli italiani, ma aveva i piedi d’argilla e la testa tra le nuvole. Renzi non aveva fondamenta solide perché la sua leadership non era figlia di un’investitura popolare, ma frutto di una manovra di palazzo.
Renzi ha pagato quella che i greci chiamavano hybris, la tracotanza che portava gli uomini a sfidare il fato sopravvalutando le proprie forze e finendo puniti dagli dèi.
La stessa hybris del Salvini del Papeete. Anche Salvini ha pagato l’errore di un governo senza investitura popolare, quando nel 2018 aveva dato vita con i 5Stelle al governo gialloverde sganciandosi dalla coalizione di centrodestra.
Meloni ha evitato ogni rischio, ha conservato la sua semplicità originaria, mostrando prudenza e saggezza a ogni passo, consapevole che governare una grande nazione equivale a sedere su una riserva di nitroglicerina.
Questa capacità di incarnare il popolo è il tratto che maggiormente fa di Giorgia Meloni l’erede della tradizione della destra di massa in Italia. È stato così con la prima vittoria della Dc, capace di ottenere quasi 13 milioni di voti su 26 milioni di votanti; è stato così con la travolgente discesa in campo di Berlusconi. La sua leadership, come quella berlusconiana, nasce da una rottura degli schemi: il Cavaliere nel 1994 ruppe il giocattolo dell’alleanza tra la sinistra e la magistratura che gli aveva apparecchiato la vittoria,
Giorgia Meloni nel 2022 ha rotto il sogno tecnocratico di fare dell’Italia un Paese governato dagli indici, senza il «sangue» e la «merda» che secondo il grande Rino Formica erano il succo della politica. Chi ha potere sostanziale, sia esso finanziario, economico o politico transnazionale, aveva immaginato un’Italia governata da un tecnocrate di gran lustro, con una maggioranza quasi unanime pronta a godere dei benefici della magnanimità internazionale. Ma la vera e unica erede di Berlusconi ha provocato una rottura fino a poco tempo prima inimmaginabile.
È indubbio che la vittoria dell’attuale capo del governo, il suo insediamento e la sua forza politica e amministrativa rappresentino un prologo di una nuova fase della storia repubblicana, ma è altrettanto indubbio che quest’atto fondativo non può passare che per una riforma dal tratto rivoluzionario.
La Prima Repubblica è nata con il referendum sulla forma istituzionale dello Stato, con la scelta tra monarchia e repubblica, e con l’Assemblea costituente che diede vita alla nostra Carta fondamentale.
La Seconda Repubblica è nata da tre leggi elettorali che cambiarono e stravolsero la politica, prima l’elezione diretta del sindaco, poi il Mattarellum che introdusse le coalizioni, col sistema uninominale e maggioritario, e infine il Tatarellum, che portò all’elezione diretta del presidente della regione. In soli due anni le istituzioni cambiarono volto e nacque una nuova repubblica.
La nascita della Terza Repubblica sarà quindi definita, ufficiale e possibile con l’approvazione della riforma sul premierato, presentata dal governo in Parlamento con un disegno di legge costituzionale approvato all’unanimità in Consiglio dei ministri.
La forza di Meloni è soprattutto la stabilità della sua identità, del suo consenso e della sua coalizione.
È stato questo che le ha consentito di restare sempre e comunque all’opposizione, mostrandosi coerente e ferma agli occhi degli elettori di centrodestra, non disponibile ad alleanze spurie, impermeabile a contaminazioni non naturali, pronta alla traversata nel deserto pur di costruire una casa degli italiani non di sinistra, stanchi di manovre di palazzo, governi del presidente, governi tecnici, messia offerti in dono dalla tecnocrazia internazionale come Letta, messia offerti dalla finanza internazionale come Mario Draghi, messia capitati per caso come Giuseppe Conte.
1. Gli italiani vogliono eleggere l’uomo forte
2. Basta con l’accusa di fascismo
3. La destra è comunità e non familismo
4. La destra ha una classe dirigente
5. TeleMeloni non esiste
6. L’immigrazione buona per non far sparire l’Italia
7. La destra o è Europa o non è
8. È necessaria una nuova giustizia
9. L’Italia ha il vento in poppa
10. Contro la dittatura del politicamente corretto.
Un paio di punti da sottolineare. La posizione sull’immigrazione è molto politica e ideologia e anche un po’ fuori dal tempo e velleitaria. Ha ragione Bocchino quando deride il buonismo ecumenico e peloso della sinistra e dei preti. Ma con buona pace della destra, solo una immigrazione ben governata, per quanto possibile, può garantirci il futuro. Bocchino ha un predecessore illustre, Virgilio, che per conto di Augusto incitava a contrastare il calo demografico: finì con le invasioni barbariche. Meglio organizzarsi per tempo.
Ciondivisibile il giudiaio su Mani Pulite. All’epoca, i missini applaudivano ogni arresto e ogni avviso di garanzia. Col tempo la destra italiana ha cambiato idea su Tangentopoli, stagione certo molto propizia, ma durante la quale si esagerò col giustizialismo, in un corto circuito tra il potere della magistratura e la debolezza della politica.
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