Il 13 luglio 1920 i fascisti incendiarono il Narodni Dom, la casa nazionale della cultura slovena a Trieste. Renzo De Felice definì l’azione “il vero battesimo dello squadrismo organizzato”. Così comincia anche la storia di Mattia Gregori, detto Bambino. In effetti, è un 40enne mai cresciuto, non un filo di barba: è uno che uccide, che fa uccidere.
“Ho sempre cercato di stare dalla parte del più forte e mi sono sempre ritrovato dalla parte sbagliata”, confessa: è protagonista e voce narrante dell’ultimo romanzo di Marco Balzano (“Bambino”, Einaudi, pagg. 294, euro 19).
La storia che devasta, il fascismo nelle zone di confine, i conflitti tra culture, la sopraffazione in nome dell’identità, temi non nuovi per Balzano che stavolta, tuttavia, affila il punto di vista del persecutore per accordare il quadro rappresentativo alla vicenda individuale.
Bambino è diventato capomanipolo della Milizia a 25 anni; sotto la maschera ideologica, le squadracce rivelano il branco cui ci si assoggetta con entusiasmo per temperare la solitudine, per esorcizzare la paura di crescere davvero.
I soprusi, le delazioni, la persecuzione di slavi ed ebrei, il carattere pubblico dello squadrista Bambino riempiono, tragici e grotteschi, il vuoto interiore, esorcizzano lo scacco psicologico di una madre mai conosciuta, un’assenza che egli vive come una macchia, come un inciampo morale.