Serata magica per l’Italia, che alle Olimpiadi di Parigi 2024 ha portato a casa tre medaglie spettacolari: l’argento nella ginnastica artistica a squadre femminile, il bronzo negli 800 stile libero e l’oro nella spada a squadre femminile. Un trionfo perfetto, se non fosse per certi “titoli” che non fanno altro che alimentare stereotipi e pregiudizi di genere.
Cominciamo con un bel quadro: Gregorio Paltrinieri, “l’infinito Gregorio”, celebrato nei titoli dei giornali come una divinità olimpica. Intanto, le ginnaste Alice D’Amato, Manila Esposito, Angela Andreoli, Elisa Iorio e Giorgia Villa vengono ridotte a “Fate”. Quasi un complimento, vero? Ma cosa succede ai loro nomi e cognomi? Beh non sono poi così importanti. Dopotutto, sono solo atlete che hanno fatto qualcosa di incredibile dopo 96 anni, battendo persino la leggendaria Simone Biles. Ma chi ha bisogno di nomi quando hai un gruppo di “Fate”?
Poi ci sono le nostre spadaccine: Rossella Fiamingo, Alberta Santuccio, Giulia Rizzi e Mara Navarria. Una gioia vederle ridotte a “l’amica di Diletta Leotta, la francese, la psicologa e la mamma” nel titolo de La Repubblica. Chissà, forse qualcuno pensa che gli appassionati di sport si interessino di più alle loro relazioni personali e professionali che alle loro vittorie epiche contro la Francia. Dopo le critiche, ecco la correzione: l’“amica di Diletta Leotta” diventa “la musicista”. Una promozione? Forse, ma il punto è chiaro: ridurre le donne a ruoli di supporto.
Rossella Fiamingo merita una menzione speciale. Non è solo una spadista d’oro, è anche “la fidanzata di Paltrinieri”. Ovviamente, il fatto che abbia vinto una medaglia d’oro a Parigi è solo un dettaglio. Chissà se Paltrinieri viene mai presentato come “il fidanzato di Fiamingo” quando si parla delle sue vittorie.
Non è la prima volta che i media italiani si distinguono per il loro sessismo raffinato. Nel 2022, durante le Olimpiadi invernali di Pechino, un articolo sul bronzo di Dorothea Wierer nel biathlon enfatizzava “il marito, il mascara, l’uncinetto, i dolci (proibiti)”. La coach della squadra di curling Violetta Caldart? Una “coach-casalinga”. E Lara Gut? Non una campionessa, ma “la moglie dell’ex Udinese Valon Behrami”. Perché focalizzarsi sulle vittorie delle donne quando puoi parlare dei loro uomini?
Gli Olympic Broadcasting Services hanno introdotto linee guida per evitare riprese sessiste delle atlete. Ma non importa quanto rispettose siano le immagini, le parole trovano sempre il modo di essere inappropriate. Due giorni fa, Eurosport UK ha licenziato il telecronista Bob Ballard per un commento inappropriato sul ritardo delle atlete australiane alla premiazione della staffetta 4×100 stile libero. In Italia, lo scorso anno, il cronista Rai Lorenzo Leonarduzzi e l’ex tuffatore Massimiliano Mazzucchi hanno fatto commenti discutibili durante i tuffi sincronizzati femminili ai Mondiali di nuoto. Per Leonarduzzi è stato avviato un procedimento disciplinare, conclusosi con la sospensione.
Più spesso, il problema è il “sessismo benevolo”. Le atlete italiane sono “fate” o “ragazze”. I loro corrispettivi maschili? “Azzurri”, “campioni” o addirittura “eroi”. Le atlete vengono spesso chiamate per nome, una prassi che affligge le donne in ogni settore. E se una di loro ha dei figli, non c’è modo di evitare di sottolinearlo. Mara Navarria è “la mamma atleta di 39 anni”, Arianna Errigo “sfila da mamma”, e Alice Sotero è “mamma astigiana”.
Anche l’aspetto fisico delle atlete continua a occupare un ruolo centrale. Alica Schmidt, “l’atleta più sexy del mondo”, viene elogiata per le sue “curve sensuali”. Il match di beach volley Italia-Egitto? Un confronto tra “bikini” e “velo”. Forse un giorno vedremo titoli sul fisico degli atleti maschili con la stessa enfasi, ma per ora sembra che solo le donne meritino questo tipo di attenzione.
Cosa possiamo fare per cambiare questa situazione? I giornalisti e gli editori devono essere consapevoli dei loro pregiudizi e impegnarsi a celebrare i successi delle atlete in modo equo. Le organizzazioni sportive e i comitati olimpici devono promuovere l’uguaglianza di genere nello sport, attraverso campagne di sensibilizzazione e politiche che garantiscano pari opportunità e riconoscimento per le atlete femminili.
Il Comitato Olimpico Internazionale ha steso delle linee guida sulla rappresentazione delle atlete, sottolineando che sono più del loro genere. Ogni volta che il fatto che siano donne diventa più importante delle loro vittorie, siamo di fronte a una narrazione discriminatoria.
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