Occupazione femminile: secondo l’Istat cresce ma non al Sud

L'occupazione femminile è in crescita in Italia secondo l'Istat, ma non al Sud

L’aumento dell’occupazione femminile nel corso degli anni, nella maggior parte dei casi, non riguarda le donne meridionali.

In 16 anni, dal 1993 al 2009, a fronte di 1.792.000 occupate in più, appena 218 mila (ossia il 12,1%) hanno interessato le regioni meridionali, poco più di una su dieci. Vuol dire, mediamente, ogni anno, circa 13.600 lavoratrici al Sud e nelle Isole contro circa 100 mila del resto d’Italia.

A segnalare questo particolare dato dell’occupazione femminile è stata Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell’Istat, in una recente audizione in Commissione lavoro al Senato, con all’ordine del giorno il mercato del lavoro delle donne. Il tasso di occupazione femminile nel nostro paese si conferma fra i più bassi in Europa: appena il 46,1% di occupazione, inferiore di circa 12 punti percentuali rispetto a quello medio della Ue27.

Dei 1.8 milioni di occupate in più nei 16 anni considerati, quindi, la parte più significativa (1.574.000) è andata alle regioni del Centro-Nord. Al momento, il tasso di occupazione femminile è al 30,8% nel meridione, al 55,6% nel Nord-Ovest, al 56,9% nel Nord-Est.

La crisi poi, in generale, penalizza uomini e donne. Ma ad esempio, nell’industria, il calo dell’occupazione femminile dipendente ha registrato nel terzo trimestre del 2009 una caduta pari a più del doppio rispetto a quella rilevata fra gli uomini: -10,5% contro 4,2%. Nel corso del 2009, la discesa dell’occupazione femminile ha interessato tutte le figure del mercato del lavoro: le dipendenti a termine, le collaboratrici, le autonome, fino a coinvolgere le occupate a tempo indeterminato. Fra l’altro, il tasso di inattività femminile ha registrato significativi posizionamenti nel terzo trimestre 2009 al 64,2% (rispetto al 63% dello stesso periodo del 2008).

In relazione al contributo delle donne al reddito familiare, in Italia – rileva l’Istat – esiste ancora la tradizionale divisione dei ruoli di genere che vede l’uomo responsabile del sostentamento economico della famiglia mentre la donna è ancora dedita principalmente alle attività domestiche e di cura. Una condizione molto più diffusa che in altri paesi europei, soprattutto per effetto dell’ampio ricorso al part-time in questi ultimi. Uno strumento, quest’ultimo, che nel nostro paese è ancora «meno diffuso ed accessibile».

«Le ragioni che spiegano lo scarso contributo femminile all’economia familiare – sostiene Sabbadini – sono da ricercarsi anche, e probabilmente soprattutto, nella maggior presenza di donne in settori del mercato del lavoro meno retribuiti». Fanno eccezione le famiglie indigenti (il quinto più povero) dove invece è maggiore l’apporto delle donne all’economia familiare. «Ma in questo caso – aggiunge la ricercatrice – il fenomeno sembra più conseguenza delle precarie condizioni del partner, che del rendimento di elevati investimenti femminili in capitale umano».

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