“Perché il Fascismo è nato in Italia”, scritto da Marcello Flores e Giovanni Gozzini – entrambi docenti di Storia contemporanea – è un libro molto utile, un primo passo propedeutico ad altre letture più specifiche, ma che non perde niente in termini di serietà storiografica. Con l’avvento del Governo Meloni – il più a destra nella storia repubblicana – si fa ovviamente un gran parlare di Fascismo.
Se ne sentono dire di tutti i colori, dalle dotte ricostruzioni storiche, alle più avventate e stravaganti analisi. Ed allora: come orientarsi in questo gran bazar della Storia nel quale entriamo ogni giorno? La cosa migliore da fare è prendere tra le mani qualche libro e spolverare la memoria. “Perché il Fascismo è nato in Italia” può essere uno di questi, un buon saggio dal quale iniziare.
Di recente pubblicazione, due anni fa, in occasione del centenario della Marcia su Roma, si articola in 12 capitoli, 288 pagine, comprese note e indice dei nomi. La linea temporale che segue ha inizio con l’Italia di Giolitti e finisce all’incirca con l’assassinio di Matteotti del 1924, ovvero quella porzione di tempo nella quale il Fascismo nasce, germoglia e s’impone.
Nell’impeccabile edizione brossura della Laterza, che rende piacevole la lettura anche al tatto, il saggio si presenta con uno stile asciutto, un ritmo veloce e soprattutto con un’idea centrale forte, intorno alla quale ruota tutta l’analisi: “senza la Grande Guerra, né Lenin, né Mussolini, né Hitler sarebbero mai esistiti” (pagina 5).
Come gli stessi autori precisano nelle prime pagine, cercano di dimostrare questa loro affermazione utilizzando tre piani distinti di ricerca: il primo è quello delle psicologie individuali, il secondo riguarda la politica e le istituzioni, mentre l’ultimo si concentra sull’economia.
Dunque: psicologia, politica-istituzioni ed economia. Quasi tutto di quel che c’è nel libro passa da almeno uno di questi tre filtri. E forse è la scelta migliore, che consente di delimitare il campo d’indagine e di evidenziare gli aspetti più significativi che il saggio si propone di affrontare.
Cercare di capire perché il Fascismo nacque in Italia, diventa così in questo lavoro un percorso non solo storico ma anche psicologico, politico ed economico. Dalla Grande Guerra, qui intesa appunto come la deflagrazione che tutto fa cominciare, i due storici ricostruiscono passo dopo passo i contesti, gli eventi e le peculiarità che fanno del Fascismo un fenomeno strettamente italiano. Quindi non troverete tutto ma solo ciò che serve per quest’ultimo obiettivo.
Molti grandi eventi della Storia non nascono dal niente, hanno periodi più o meno lunghi d’incubazione per maturare, e nella maggioranza dei casi sono determinati da numerose variabili che interagiscono tra di loro.
Il Fascismo è uno di questi eventi, figlio della Storia del Paese dalla quale ha tratto forza per la propria sedimentazione nella società italiana. Nel saggio di Flores e Gozzini i fattori che portano all’inevitabile destino sono ben allineati.
L’Italia giolittiana, con le sue contraddizioni e con molte questioni ancora aperte del Risorgimento, fa da tessuto connettivo, collega sentimenti diversi, contrastanti, che animano l’inizio secolo.
Sono i primi vagiti di un mondo che le élite liberali faticano a comprendere e che la Grande Guerra amplifica nell’infinito dibattito tra interventisti e neutralisti, liberali contro socialisti. Nessuno vede arrivare l’uomo nuovo, il cittadino soldato, che nella drammatica vita di trincee forgia le ragioni dello squadrismo post-bellico, l’emergere della violenza come matrice fondamentale e fondante del Fascismo.
Su questo punto i due storici tornano più volte: “Il filo rosso della violenza unisce il fascismo-movimento al fascismo-regime e anticipa modelli di comportamento che il nazismo riproduce” (pagina 89).
“La violenza diventa consenso quando costringe e convince alla inutilità della politica, della libera discussione, del confronto e del conflitto pacifico” (pagina 143).
Ed ancora: “Guerra e violenza sono il fondamento di un programma politico le cui forme ulteriori (nazionalismo, statalismo, razzismo…) sono mere deduzioni da quel fondamento originario” (pagina 186).
Ma non è solo da questo versante che si riesce a spiegare perché il Fascismo sia nato in Italia. Sono anche altri i fattori che l’hanno determinato. Uno su tutti la debolezza dello Stato, o meglio, il progressivo sgretolamento delle Istituzioni e la delegittimazione del ceto politico liberale.
È una questione dirimente, perché negli anni che precedono la Marcia su Roma il Fascismo trova lungo il suo cammino uno Stato inconsistente, talvolta anche complice, che fa finta di non vedere, consentendo così alla violenza squadrista di dilagare nel Paese, la perdita di un diffuso senso della legalità, la democrazia che finisce.
“Lo sfarinamento delle forze politiche corrisponde allo sfarinamento della catena di comando tra stato centrale, forze dell’ordine, prefetti, questori e amministratori locali” (pagina 187).
È certo che in questo contesto, tra la crescente violenza fascista, il declino delle Istituzioni ed un Paese che usciva dalla Prima Guerra Mondiale con parecchi problemi irrisolti, “Mussolini non cavalca l’onda montante, potente ed organica, riunita attorno al suo nome. Si limita ad approfittare di un «fenomeno psicologico», come lo chiama Orlando: cioè uno sfarinamento generale che deriva da una somma di agitazioni individuali confuse e non riesce a trovare un punto di coagulo alternativo” (pagina 128).
“Lo sfarinamento, insomma, è la tendenza inerziale della situazione. È ad esso, piuttosto che alle sue presunte o effettive abilità, che Mussolini deve la propria resistibile ascesa: interprete egli stesso, ma anche spregiudicato profittatore, del caos” (pagina 132).
E poi c’era la grande «paura dei rossi» ovvero il vento della Rivoluzione che arrivava da Sinistra e soprattutto da Mosca, il biennio rosso, anche se, puntualizzano Flores e Gozzini, “nell’Italia del primo dopoguerra non c’è mai stata un’occasione rivoluzionaria mancata” (pagina 117). Tuttavia “quella tra socialismo e fascismo è una correlazione statistica ben nota, elaborata in tempi lontani seppur in modi più rudimentali […] è la crescita dei socialisti a produrre il fascismo” (pagina 148).
Probabilmente è una forzatura affermare che in Italia il Fascismo abbia trovato davanti a sé una strada in discesa che ha percorso senza incontrare grossi ostacoli, però, in questo saggio emerge chiaramente un contesto nazionale unico nel panorama europeo, che, diversamente da altrove, ha lasciato accadere tutto nella consapevolezza più disarmante. Flores e Gozzini sono molto chiari: “un progetto”, scrivono, “che fino all’ultimo poteva essere battuto” (pagina 215).
Come scritto in apertura di recensione, questo libro può essere un buon inizio. Il Fascismo divide ancora molti studiosi, ma almeno su alcune sue caratteristiche ed articolazioni è possibile oggi trovare utili punti d’incontro.
È saggio approfondire, cercare di capire, perché nell’era del pressappochismo una buona dose di accuratezza è l’unico modo per difendersi.
E visto che ci siamo, suggeriamo altri due libri, magari da leggere più avanti, per un ulteriore approfondimento: “Le origini dell’ideologia Fascista” di Emilio Gentile, e “Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma” di Roberto Vivarelli. Sicuramente due testi più complessi ma altrettanto urgenti e ricchi di spunti quanto quello qui recensito di Marcello Flores e Giovanni Gozzini.
“Perché il fascismo è nato in Italia” di Marcello Flores e Giovanni Gozzini, Editori Laterza, pp. 288, formato cartaceo €20,00, formato digitale €12,99.
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