Ricerca, sondaggio, studio…ma in sostanza una balla infiocchettata con nastri e lucente carta socio-demoscopica: mentre vive la sua ottava decade, cioè dai 70 anni compiuti in poi, la gente è più felice. Addirittura dai settanta in poi una vita felice sarebbe la condizione in cui dichiara di trovarsi l’87 e passa per cento dei settantenni appunto. Contro solo il 59,6 per cento dei “felici” che fanno la media di chi felice dice di vivere nelle altre classi di età.
Chissà cosa intendono gli autori e soprattutto i comunicatori della ricerca, chissà cosa intendono per felicità e vita felice. Leggere che quasi il 60 per cento degli “indagati” sulla qualità percepita della loro vita si dichiara più che soddisfatto…non si può sentire. Metà abbondante della gente che si sente e si dichiara felice e contento? Ma dove, chi, a che domanda hanno risposto? Anche provando a fare media tra risposte positive sulla qualità e soddisfazione sulla vita privata e negative sulla vita associata (economia, lavoro, ambiente, guerra…) il conto non torna. Sessanta per cento di contenti e soddisfatti della loro vita? E allora l’odio e il rancore che trasuda letteralmente da tutti i pori della società e il vittimismo violento che è l’abito, il format standard del comune sentire limitati e confinati, eccezioni alla regola e non la norma stessa?
E poi quel quasi novanta per cento di anziani che si dice felice di…essere anziano! Non che una vita serena e soddisfatta di sé non possa esserci a settanta anni. basta essere in salute, piena. Avere agiatezza economica, agiatezza non ricchezza ma agiatezza vera. Avere e praticare relazioni sociali, interessi culturali, letture, viaggi, amici. Sani, benestanti, colti, curiosi, inseriti e abili…a queste sole condizioni a settanta si può vivere soddisfatti e contenti. Condizioni, come si vede, alla portata di tutti, di fatto universali. Verrebbe da dire alla ricerca…ma mi faccia il piacere! Ma quand’anche fosse ciò che non è (a settanta tutti o quasi sani e benestanti e colti e…) la felicità è parola davvero grossa coniugarla con questa età. Felicità è qualcosa che forse per prolungati lampi nell’infanzia ha il suo habitat.
Qualcosa che si fa intravedere senza mai davvero apparire in adolescenza, l’età in cui la felicità è insieme promessa e approssimazione. Felicità che concede assaggi di sé in giovinezza e rarissime ma robustissime scorpacciate di sé nell’età matura (ad esempio diventar genitori). Ma felicità come conseguenza e condizione della senilità proprio in piedi non sta. La relativa serenità della saggezza magari, la tranquillità della consapevolezza e magari ancora l’acquisizione del giusto metro con cui misurare qualità e quantità della vita. Questo ci può essere nei settanta anni che nelle altre decadi non c’è o c’è molto meno. Ma quanto nell’ottava decade di vita non può esserci più di quello che c’era nelle decadi precedenti? Un conto onesto, soprattutto con se stessi, mostra che l’idea della felicità che cresce dopo i 70 è un’articolazione a suo modo del mercato. I settantenni spendono in proporzione di più, molto più di quanto consumassero un tempo oggi consumano. Dando vita a linee specifiche di prodotti per loro (assicurativi, finanziari, sanitari, arredamento, abbigliamento, alimentari, fitness…). Ci sta che tra i vari prodotti arrivi anche quello per così dire motivazionale: ci sta che agli anziani si venda la balla socio-demoscopica della felicità a 70 anni che più felicità altrove non c’è.