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Preti pedofili? “Colpa di Woodstock”

di fmontorsi |20 Maggio 2011 15:30

NEW YORK – Di chi è la responsabilità degli scandali dei preti pedofili? Di chi è la colpa per gli abusi su bambini e adolescenti, che, venuti alla luce a partire dal 2002, hanno rivelato i crimini e i silenzi della Chiesa Cattolica? Semplice, per dirla in inglese, put the blame on Woodstock, dai la colpa a Woodstock.

La risposta non è, come sembrerebbe, una provocazione, ma il risultato di uno studio di cinque anni commissionato dai vescovi della Chiesa Cattolica. L’indagine ha concluso che gli abusi sessuali non possono essere imputati né al celibato sacerdotale (non prescritto dal vangelo, e codificato in epoca medievale), né alla presenza dei preti omosessuali.

Negli ultimi anni, entrambe le cause sono state avanzata all’interno della Chiesa e dai commentatori in generale come causa degli abusi, la prima da progressisti e riformatori (lo Spiegel si era fatto notare in particolare per la sua «campagna»), la seconda da conservatori. La spiegazione «sessantottina» degli abusi dei preti ricalca invece da vicino le giustificazioni che sono state date dalla stessa gerarchia cattolica dopo lo scoppiare degli scandali.

Lo studio commissionato dalla Chiesa Cattolica sostiene invece che gli abusi perpetrati sui minori siano dipesi dalla scarsa preparazione dei sacerdoti. I seminaristi, poco monitorati dalle gerarchie, sono stati formati durante la rivoluzione sessuale degli anni 60 e 70, in una fase di profondo cambiamento delle mentalità e dei costumi, e in condizione di stress. Durante questi decenni i casi di abusi sono cresciuti bruscamente. Nello stesso periodo, le gerarchie cattoliche creavano una «macchina del silenzio», che provvedeva ad insabbiare i casi, mostrando più compassione per i criminali che per le vittime.

Lo studio sulle cause degli abusi sessuali è cominciato nel 2006, ed è stato condotto da un gruppo di ricercatori del John Jay College of Criminal Justice di New York. L’indagine è costata la ragguardevole somma di 1,8 milioni di dollari, la metà dei quali sono stati sborsati dai vescovi, il resto da organizzazioni e fondazioni cattoliche. Il Dipartimento di stato della Giustizia degli Stati Uniti ha infine contribuito con 280 mila dollari.

Uno dei risultati più apprezzabili dell’indagine – a parte l’inesistenza di ogni legame tra pedofilia e omosessualità – è che non esiste un profilo del prete molestatore. Non sono state trovate infatti « caratteristiche psicologiche», «sviluppi personali» o disordini della personalità che distinguano i sacerdoti che abbiano abusato di minori dagli altri.

Uno degli aspetti più controversi dello studio è probabilmente il fatto che secondo i ricercatori è inesatto parlare di preti pedofili. Questa constatazione dipende dalla decisione di considerare «preadolescenti«, quei bambini che hanno meno di 10 anni. Una volta applicato questo criterio, solo il 22% dei casi di abusi studiati sono di carattere pedofilo. Bisogna però notare che diversi istituti scientifici adottano piuttosto l’età di 13 anni. Se così fosse anche per lo studio commissionato dalla Chiesa, più della metà dei casi sarebbero su preadolescenti.

Nonostante l’accuratezza dello studio e la serietà dell’istituzione che lo ha condotto, delle domanda sulla validità delle sue conclusioni sono legittime. Le conclusioni dello studio sembrano troppo vicine alle giustificazioni espresse dalla Chiesa Cattolica in questi ultimi anni – delle spiegazioni che fanno cadere la colpa sulla società materialista, e che non mettono in causa il funzionamento stesso dell’istituzione. Inoltre i dati su cui sono state condotte le ricerche sono quelli forniti dalle diocesi, le quali si sono negli anni mostrate più propense a proteggere i preti criminali, che a ricercare la giustizia e la verità.

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