Un recente studio internazionale suggerisce che un semplice test del sangue potrebbe prevedere il rischio di infarto e ictus nelle donne con un anticipo di trent’anni. Questo test rivoluzionario permette di identificare potenziali pericoli per la salute del cuore e dei vasi sanguigni, fornendo ampio margine di tempo per intervenire con terapie preventive o cambiamenti nello stile di vita. Tale scoperta si basa sull’analisi di tre indicatori chiave nel sangue: due tipi di grassi e un biomarcatore dell’infiammazione. Questa combinazione permette di determinare con grande precisione il rischio di eventi cardiovascolari gravi.
Secondo i ricercatori coinvolti nello studio, la possibilità di diagnosticare con decenni di anticipo il rischio di patologie cardiovascolari nelle donne rappresenta una svolta epocale nella medicina preventiva. L’obiettivo è cogliere le anomalie in tempi molto precedenti alla manifestazione dei sintomi, consentendo ai pazienti di adottare misure preventive tempestive e mirate.
Lo studio è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine. Il team di ricerca, guidato da scienziati del Brigham and Women’s Hospital di Boston e in collaborazione con la Scuola di Salute Pubblica T.H. Chan di Harvard, ha analizzato i dati di circa 30.000 donne coinvolte nello studio Women’s Health Study. Si tratta di un’indagine di lunga durata che ha monitorato la salute di un vasto campione di operatrici sanitarie. Le partecipanti avevano un’età media di 54 anni al momento dell’inizio del monitoraggio, e il follow-up ha coperto un arco temporale di 30 anni, durante i quali sono stati registrati oltre 3.600 eventi cardiovascolari significativi, inclusi infarti, ictus e rivascolarizzazioni coronariche.
L’analisi si è concentrata su tre fattori chiave che risultano modificabili e fortemente predittivi del rischio cardiovascolare: la proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hsCRP), un marcatore di infiammazione; le lipoproteine a bassa densità (LDL-C), comunemente note come “colesterolo cattivo”; e le lipoproteine(a), o Lp(a), una forma di lipidi simile all’LDL ma influenzata anche dall’ereditarietà. Il monitoraggio di questi tre indicatori, facilmente rilevabili attraverso un test del sangue, ha permesso di tracciare un quadro preciso del rischio cardiovascolare a lungo termine.
Lo studio ha rivelato che le donne con livelli elevati di proteina C-reattiva presentavano un rischio aumentato del 70% di sviluppare malattie cardiovascolari rispetto a coloro con valori normali. Le partecipanti con alti livelli di LDL-C, ovvero il colesterolo cattivo, avevano un rischio maggiore del 36%, mentre coloro con alti valori di Lp(a) mostravano un incremento del 33%. Se questi fattori venivano considerati insieme, il rischio aumentava in modo ancora più significativo. Le donne con livelli elevati di tutti e tre i marcatori, infatti, mostravano un rischio cardiovascolare 2,6 volte superiore rispetto a quelle con valori normali, con un aumento particolarmente evidente nel rischio di ictus, che risultava essere 3,7 volte maggiore.
Questi risultati dimostrano quanto sia importante monitorare non solo il colesterolo, ma anche i livelli di infiammazione e lipoproteina(a) per una valutazione completa del rischio cardiovascolare. Secondo il professor Paul M. Ridker, responsabile dello studio, non è possibile trattare ciò che non viene misurato. Per questo, egli sottolinea la necessità di introdurre screening universali che includano la misurazione di questi tre fattori, consentendo ai medici di offrire terapie personalizzate e preventive in modo più efficace.
Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte tra le donne nei paesi industrializzati, superando ampiamente altre patologie come il cancro. Tuttavia, la prevenzione di questi eventi viene spesso trascurata fino a un’età avanzata, quando i danni possono essere ormai irreversibili. Lo studio condotto dal team internazionale evidenzia l’importanza di intervenire molto prima, già a partire dai 40 o 50 anni, per ridurre il rischio di infarti e ictus.
Secondo gli esperti, i dati emersi dallo studio dovrebbero rappresentare un vero e proprio campanello d’allarme per tutte le donne. Aspettare fino ai 60 o 70 anni per iniziare a monitorare i valori di colesterolo, infiammazione e lipoproteina(a) è troppo tardi, e può condurre a risultati disastrosi. La prevenzione dovrebbe iniziare ben prima, con controlli regolari e personalizzati per tenere sotto controllo questi indicatori e intervenire prontamente in caso di anomalie.
La raccomandazione generale è quella di adottare uno stile di vita sano già in giovane età, attraverso una dieta equilibrata, l’esercizio fisico regolare e l’eliminazione di fattori di rischio come il fumo e l’eccessivo consumo di alcol. Tuttavia, in alcuni casi queste misure possono non essere sufficienti. Per le persone con elevati livelli di colesterolo o infiammazione, o con predisposizione genetica per alti livelli di Lp(a), esistono farmaci specifici come le statine o la colchicina che possono aiutare a ridurre il rischio.
Uno degli aspetti più interessanti emersi dallo studio è la possibilità di sviluppare una medicina preventiva altamente personalizzata. Grazie ai progressi nella comprensione dei fattori di rischio cardiovascolare, i medici possono ora offrire trattamenti su misura per le esigenze specifiche di ciascun paziente, migliorando notevolmente i risultati. L’infiammazione, il colesterolo e la Lp(a) sono tutti fattori modificabili che possono essere controllati con terapie mirate, permettendo di prevenire eventi cardiaci e cerebrovascolari anche con decenni di anticipo.
Il professor Ridker ha sottolineato l’importanza di considerare questi dati non solo per le donne, ma anche per gli uomini. Sebbene lo studio sia stato condotto esclusivamente su partecipanti di sesso femminile, i risultati possono essere applicati anche alla popolazione maschile. Le malattie cardiovascolari, infatti, colpiscono entrambi i sessi e la prevenzione è fondamentale per ridurre il tasso di mortalità e migliorare la qualità della vita di milioni di persone.
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