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Clima e Virus zombie: nel permafrost per 50 mila anni, umani indifesi, ipotesi pandemie da film dell’orrore

Clima e Virus ‘zombie’ liberati dal permafrost che li ha ibernati 50 mila anni fa e ora si scioglie per la temperatura che sale. Potrebbero scatenare nuove pandemie. Ipotesi da film dell’orrore.

Non è la prima volta che se ne parla, ma la minaccia incombe sempre. Il caldo scioglie lentamente i ghiacciai e fa emergere dal permafrost virus dormienti da milioni di anni che potrebbero costituire un pericolo per la salute umana e animale: i cosiddetti virus zombie.

Il permafrost è uno strato di terreno che, cambiamenti climatici permettendo, rimane congelato tutto l’anno e copre il 15% del territorio dell’emisfero settentrionale.

Il permafrost è un buon mezzo di conservazione dei virus. Oltre al freddo, l’ambiente privo di ossigeno e impermeabile alla luce diventa il luogo ideale per la conservazione di svariati virus. Se è vero che le temperature dell’Artico si stanno riscaldando ad una velocità di quattro volte in più rispetto al resto del pianeta, lo strato superiore del permafrost della regione è destinato inesorabilmente ad indebolirsi con il rischio concreto che si possano liberare antichi virus che non sono mai stati a contatto con gli esseri viventi per migliaia di anni.

Birgitta Evengård, professore emerito presso il Dipartimento di Microbiologia Clinica dell’Università di Umea in Svezia, ha dichiarato alla CNN che le difese immunitarie dell’uomo si sono sviluppate a contatto con l’ambiente microbiologico formatosi nel corso di secoli. Se si entra a contatto con un virus sconosciuto perché nascosto per migliaia di anni nel permafrost è probabile che l’uomo non abbia difese immunitarie in grado di intercettarlo e contrastarlo.

Intanto la CNN ha dato notizia che Jean-Michel Claverie, professore emerito di medicina e genomica presso la Scuola di Medicina dell’Università Aix-Marseille di Marsiglia in Francia, ha rinvenuto, su campioni di terreno prelevati da un lago sotterraneo in Siberia, ceppi di virus congelati da 48.000 anni. Uno dei campioni più giovani è stato scoperto nella carcassa di un mammut lanoso.

Alcuni campioni sono stati testati per scoprire se eventuali particelle virali siano ancora in grado di infettare un essere vivente. A seguito di questi esperimenti, un virus congelato è tornato alla luce in laboratorio.

Nel 2014 Claverie ha reso attivo un virus dormiente da almeno 30mila anni inserendolo in cellule coltivate. La CNN chiarisce, però, che lo scienziato e il suo team hanno optato per un virus che può colpire solo le amebe unicellulari e non animali o esseri umani proprio per ragioni di sicurezza.

Gli scienziati considerano i virus che infettano le amebe come surrogati di tutti gli altri virus che potrebbero trovarsi nel permafrost e di cui sono state individuate le tracce. Anche se non c’è certezza che siano tutti ancora vivi, e dunque che in grado di infettare i loro ospiti, non c’è certezza neppure del contrario.

Il professor Claverie, sin dal 2014, è impegnato in questo genere di ricerche ed ha prodotto numerose pubblicazioni scientifiche su questi antichi virus che lui chiama “virus zombie”.

Nel suo ultimo lavoro, pubblicato il 18 febbraio sulla rivista Viruses, denuncia anche come siano ancora pochi i ricercatori impegnati su queste ricerche e questo, a fronte del disgelo provocato dal riscaldamento del clima, è un rischio che non ci si può permettere perché in futuro alcuni virus zombie potrebbero diventare una minaccia per la salute pubblica causando epidemie devastanti.

Con questo genere di ricerche Claverie ed altri scienziati stanno cercando di capire come funzionano questi antichi virus congelati e soprattutto il loro grado di penetrazione infettiva di animali o di essere umani.

Nei loro studi, però, non si parla solo di virus ma anche di batteri dormienti che potrebbero emergere, dopo due milioni di anni, dal disgelo del permafrost e riattivarsi con conseguenze difficili da prevedere. Quando, per esempio, nel 2016 sono comparsi focolai dell’infezione batterica dell’antrace negli esseri umani e nelle renne in Siberia, gli scienziati hanno fatto risalire al disgelo in atto il risveglio di questi batteri.

Il servizio della CNN ha poi informato che nel permafrost sono state trovate tracce di virus e batteri che possono infettare l’uomo e lo ha fatto citando alcuni esempi. Dall’Alaska nel 1997 sarebbe stato isolato un campione di polmone femminile che conteneva materiale genomico del ceppo influenzale responsabile della pandemia del 1918.

Nel 2012, gli scienziati hanno confermato l’esistenza di tracce genetiche del virus che causa il vaiolo rinvenute nei resti mummificati di 300 anni fa di una donna sepolta in Siberia. Nel 2015 ulteriori esperimenti su ceppi di antichi campioni di virus provenienti da sette luoghi diversi della Siberia hanno dimostrato di essere ancora infettivi riproponendo con forza il problema dello scongelamento del permafrost.

Scongelamento che può riservare, purtroppo, altre sorprese od effetti indesiderati e sconosciuti dovuti a rifiuti sepolti derivanti dall’estrazione di metalli pesanti e sostanze chimiche, come il pesticida DDT vietato negli anni 2000, o il riemergere di materiale radioattivo scaricato da Russia e Stati Uniti.

 

Maria Vittoria Prest

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