Covid, la nuova variante BA.2.86 soprannominata “Pirola”, presenta “un numero significativo di 40 mutazioni che potrebbero aiutare il virus a eludere la risposta immunitaria”. Tra queste ce ne sono “due in particolare da monitorare perché potrebbero renderla più diffusibile”.
Finora è stata isolata in cinque Paesi ed è ancora presto per sapere se si tratti ancora di Omicron e se sia pericolosa. “Ad oggi sembra essere il ceppo Sars-CoV-2 più sorprendente osservato a livello globale dall’inizio di Omicron”. A tracciare il quadro è un articolo pubblicato sul Journal of medical virology, a cura di Massimo Ciccozzi, direttore dell’Unità di statistica molecolare e di Epidemiologia del Campus Bio-Medico di Roma. Insieme a lui Fabio Scarpa del Dipartimento scienze mediche dell’Università di Sassari.
Il primo caso della nuova variante, rapidamente posta sotto monitoraggio dall’Organizzazione mondiale della Sanità, è stato segnalato in Danimarca il 24 luglio. Successivamente è stata isolata in Sud Africa, Stati Uniti, Israele e Regno Unito. “La cosa ritenuta di particolare interesse è che, diversamente da altre varianti, manca un nesso epidemiologico tra i vari casi”, chiarisce Ciccozzi. “Ovvero i casi non sembrano collegati tra loro e con il primo”.
L’aumento dei casi rilevati nelle ultime settimane in Italia “non è dovuto ancora alla nuova variante ‘Pirola”‘. In Italia, al momento non risultano segnalati casi. Ciccozzi aggiunge: “Ma come avvenuto per altre varianti come Kraken o Arturo, si diffonderà e probabilmente arriverà anche in Italia”.
Mentre, riguardo ai sintomi di Pirola, conclude: “Somigliano a quelli di un’influenza importante con febbre a 38 per qualche giorno, forte raffreddore e mal di testa. Insomma non è più caratterizzata dall’asintomaticità tipica di molte varianti Omicron”.
“Finora – prosegue – sono stati sequenziati solo 10 genomi e sebbene con un numero basso di prevalenza. Sono state rilevate diverse nuove mutazioni se confrontate con il presunto antenato BA.2”. Tra di essi “vi sono due mutazioni da tenere sotto controllo sulla proteina Spike, che svolge una funzione cruciale nelle infezioni e nella risposta immunitaria. Una mutazione che richiama quella presente sul ceppo originale di Wuhan e un’altra che ricorda la variante Delta”.
Lo studio si basa sui pochi sequenziamenti finora disponibili ma in base a questi dati non vi è al momento “alcuna indicazione per considerare questa come una nuova variante significativamente preoccupante“, conclude Ciccozzi e “sono necessari ulteriori dati per capire se la variante sarà pericolosa o meno”.
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