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Il Covid fu insabbiato dalla Cina: nacque nel laboratorio di Wuhan, 95% di morti in meno senza il depistaggio

Il Covid all’inizio della sua diffusione fu occultato da parte della Cina che bloccò ogni possibile fuga di notizie dal laboratorio di Wuhan, insabbiando il tutto.

Però le autorità sanitarie cinesi avevano decifrato il codice genetico del virus cinque giorni prima che il mondo sapesse della malattia, sostiene uno scienziato inglese cui il Mail dedica un lungo articolo.

Lo studio dello scienziato britannico ha fatto emergere nuove prove dell’insabbiamento da parte di Pechino di dati fondamentali sul Covid e sulla sua diffusione.

Secondo lo scienziato le autorità sanitarie cinesi avrebbero decifrato il codice genetico del virus giorni prima che il mondo fosse informato della comparsa della nuova malattia.

La scoperta sarebbe stata confermata anche da parte di investigatori indipendenti, a riprova della gravità del comportamento delle autorità cinesi sull’epidemia di Wuhan, tenuto conto che la sequenza del genoma è fondamentale per lo sviluppo di test diagnostici e per la produzione di vaccini.

Quando uno scienziato cinese, sfidando l’autorità di Pechino, l’ha resa nota alla comunità scientifica mondiale dopo più di due settimane dalla sua identificazione, il virus si era ormai diffuso a livello planetario con conseguenze sovente tragiche che ormai si conoscono. Un colpevole ritardo che ha contribuito anche al diffondersi di diverse teorie complottistiche.

Bryce Nickels, cofondatore del gruppo di campagna Biosafety Now, ha denunciato questo inquietante comportamento teso a nascondere informazioni critiche. Nickels, professore di genetica alla Rutgers University del New Jersey sostiene che i tentativi di manipolare l’informazione pubblica sia iniziata certo in Cina ma che in seguito abbia riguardato anche gli Stati Uniti ed altri paesi occidentali.

Nature Medicine, una rivista scientifica statunitense, aveva pubblicato un articolo dal titolo “Origini prossimali” che secondo l’editore avrebbe posto fine ad ogni teoria cospirativa, mentre per altri la rivista stessa avrebbe svolto un ruolo centrale per decretare il fallimento di ogni ricerca della verità sulla fuga del virus dai laboratori cinesi. L’articolo sosteneva la tesi di scienziati che negano ogni correlazione tra la diffusione della malattia e gli esperimenti/studi dei laboratori di Wuhan.

Il Congresso degli Stati Uniti avvia così una indagine che prende le mosse dalle dichiarazioni pubblicate da Nature e nel corso di queste emergono invece i messaggi privatissimi tramite Slack di quattro scienziati di Australia, Gran Bretagna e USA che, a differenza di quanto pubblicato, esprimevano dubbi e timori proprio sulla responsabilità di fuga del virus da un laboratorio in Cina.

Senza cercare di forzare dati e date è sufficiente mettere in fila una serie di informazioni di cui oggi si dispone per capire che i dubbi sulle responsabilità cinesi non sono infondati.

Eddie Holmes, virologo dell’Università di Sydney e professore ospite del Centro per il controllo delle malattie (CDC) cinese all’inizio della pandemia, chiarisce che il 26 dicembre 2019 il CDC aveva già individuato la sequenza del genoma, negando però il pericolo di una possibile pandemia.

George Gao, il direttore cinese dell’ente che supervisiona la risposta alle emergenze sanitarie, non informa però che già dal novembre 2019 molte persone si erano ammalate a Wuhan.

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) viene a conoscenza dell’epidemia di una nuova malattia respiratoria mortale solo il 31 dicembre.

A metà gennaio 2020, la Cina nega ancora all’OMS la diffusione del virus, anche se i medici di

Wuhan avevano allertato le autorità di riferimento del velocissimo contagio e adottato per i loro pazienti misure rigorose di isolamento e di prevenzione per la comunità.

Secondo Eddie Holmes è legittimo pensare ad un insabbiamento sulla reale portata del contagio e denuncia il tentativo cinese di riscrivere la storia di quanto è successo, negando anche ai suoi funzionari sanitari di condividere con il mondo scientifico le conoscenze e mettendo a tacere i loro medici che coraggiosamente denunciavano la situazione.

La Cina risponde attraverso le dichiarazioni di Gao, che è andato in pensione l’anno scorso, negando ogni ritardo sulle informazioni in quanto le prime ottenute dalla sequenza del genoma del 26 dicembre erano state inviate al centro diagnostico di una start-up a Guangzhou, nel sud della Cina, per una indagine riservata e rigorosa prima di lanciare un allarme mondiale.

A quel tempo però l’ospedale e il CDC già sapevano che c’erano molti pazienti infetti da un possibile coronavirus simile al Sars di origine pipistrello come dichiarato da Zhang Dingyu, responsabile dell’ospedale Jinyintan, un centro di malattie infettive, e che erano sottoposti ad un trattamento d’emergenza.

Diversi altri laboratori, inoltre, avevano rapidamente sequenziato il genoma ma venne negata loro la possibilità di condividere i risultati.

George Gao ha sostenuto, con i colleghi scienziati, che la sua organizzazione ha generato un genoma solo il 3 gennaio 2020, negando che il CDC cinese avesse sequenziato prima il virus.

Il 10 gennaio 2020 Holmes pubblica il genoma su un forum speciale dando il via alla corsa allo sviluppo di trattamenti e vaccini.

Gilles Demaneuf, membro del team Drastic di ricercatori indipendenti che ha concluso un rapporto completo sui primi giorni dell’epidemia, conferma il 26 dicembre 2019 come data del sequenziamento iniziale del genoma.

Dall’ospedale Jinyintan, che ha esaminato la sequenza quasi completa con l’Istituto di virologia di Wuhan, arriva la conferma del pericolo di trasmissione da uomo a uomo del virus e chiarisce che già dal 28 dicembre 2019 tutti gli attori chiave sapevano con precisione a cosa andavano incontro.

La considerazione a questo punto è d’obbligo: se la Cina avesse reagito in modo adeguato a fine dicembre, il numero di casi nel mondo molto probabilmente avrebbe potuto essere ridotto del 95%.

 

Marco Benedetto

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