Prevedere la demenza molti anni prima che si manifesti? In un prossimo futuro potrebbe essere possibile. Un recente studio della Queen Mary University di Londra ha sviluppato un nuovo modello di apprendimento automatico che può prevedere l’insorgenza della demenza fino a nove anni prima della diagnosi ufficiale, con una precisione superiore all’80%.
Il team di ricerca ha analizzato 1.111 scansioni di risonanza magnetica funzionale (fMRI) di persone con e senza demenza, utilizzando queste informazioni per creare un modello predittivo. Questo modello non solo identifica i segni rivelatori della demenza, ma lo fa con un’accuratezza dell’82%, offrendo una finestra temporale preziosa per potenziali interventi e trattamenti precoci.
Il modello si concentra sulla rete in modalità predefinita (DMN) del cervello, una rete attiva quando una persona è a riposo e impegnata in pensieri autoreferenziali. I cambiamenti nel DMN sono stati associati a diverse forme di demenza, compreso il morbo di Alzheimer. Questo stato di “riposo” del cervello, osservato tramite fMRI, offre indizi cruciali sui primi segni della malattia, che possono apparire anni prima che i sintomi clinici diventino evidenti.
Per sviluppare il modello, i ricercatori hanno raccolto scansioni fMRI dalla Biobanca britannica. Lo studio ha incluso 81 partecipanti a cui non era stata diagnosticata la demenza al momento delle scansioni, ma che hanno sviluppato la condizione fino a nove anni dopo. Questi partecipanti sono stati confrontati con 1.030 persone sane che hanno servito come gruppo di controllo. Analizzando le disconnessioni tra 10 regioni chiave all’interno del DMN, i ricercatori hanno utilizzato tecniche di apprendimento automatico per costruire il loro modello predittivo.
I ricercatori hanno anche esaminato le associazioni tra la disconnessione del DMN e vari fattori di rischio di demenza. Hanno trovato collegamenti significativi con l’isolamento sociale, noto per aumentare la probabilità di sviluppare il morbo di Alzheimer, e con il rischio genetico per la condizione. Questi risultati sottolineano l’importanza di considerare una combinazione di fattori ambientali e genetici nella previsione e gestione della demenza.
La capacità di prevedere la demenza con così tanto anticipo ha implicazioni enormi. La diagnosi precoce può offrire ai pazienti e ai medici la possibilità di intervenire prima che la malattia progredisca, potenzialmente rallentando o prevenendo il suo sviluppo. Attualmente, la demenza viene spesso diagnosticata solo quando i sintomi sono già avanzati, limitando l’efficacia dei trattamenti disponibili.
La dottoressa Claire Sexton, direttrice senior dei programmi scientifici e di sensibilizzazione dell’Alzheimer’s Association, ha osservato che il DMN è implicato in diverse forme di demenza, in particolare nell’Alzheimer. Studi precedenti hanno dimostrato che cambiamenti nella connettività funzionale del DMN possono essere rilevati anni, se non decenni, prima della diagnosi clinica dell’Alzheimer.
Anche Clifford Segil, neurologo presso il Providence Saint John’s Health Center, ha sottolineato che le demenze possono variare notevolmente. L’Alzheimer è una demenza corticale che coinvolge danni alla corteccia del cervello, mentre la demenza vascolare è una demenza sottocorticale che comporta danni alla sostanza bianca del cervello. Nonostante queste differenze, la maggior parte delle demenze sono dovute al morbo di Alzheimer da solo o in combinazione con la demenza vascolare.
Nonostante l’entusiasmo per queste scoperte, ci sono alcune limitazioni. Sexton ha evidenziato tre principali limitazioni dello studio: la variabilità nella definizione e nell’esame della disconnessione del DMN, la categorizzazione della demenza per tutte le cause piuttosto che su criteri diagnostici specifici, e il fatto che il campione dello studio della Biobanca britannica non rappresenta completamente la diversità della popolazione generale. Replicare i risultati con metodi standardizzati in popolazioni diverse è cruciale per confermare l’efficacia e l’applicabilità del modello.
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