La tristezza non è una malattia: basta divorare antidepressivi

ROMA -Viviamo in un mondo dove la ricerca della felicità spesso diventa una corsa sfrenata, un’ossessione, una necessità. Se non si è felici, allora la vostra vita ha qualcosa che non va, è malata, è in quanto tale va curata. Con farmaci, costosi farmaci, pillole o gocce che promettono di abbattere il dilagante male della società moderna, la depressione.

Che la depressione sia un ‘male oscuro’ e vada curato non ci sono dubbi, ma quante volte i farmaci sono davvero efficaci? La denuncia sull’abuso della società in materia di farmaci antidepressivi arriva dallo psicoterapeuta statunitense Gary Greenberg, scrittore di ‘La storia segreta del male oscuro’, che in un intervista al quotidiano La Stampa ha sottolineato come il modello di ‘felicità a tutti i costi’ rappresenti un fattore di insorgenza del ‘male oscuro’, ma soprattutto un ricco fattore di guadagno da parte delle multinazionali farmaceutiche, che interessa un business di oltre 20 miliardi di dollari per 30 milioni di consumatori solo negli Usa.

“La felicità è stata concepita come un obiettivo dell’esistenza almeno a partire dall’Età dell’Oro di Atene, ma l’idea che questo scopo sia sempre giusto, e il dovere di perseguirlo da parte di ogni cittadino, si rivela relativamente nuova. Si tratta di uno sviluppo dell’Illuminismo, che sposta l’attenzione dalla Chiesa all’individuo, e dal paradiso alla Terra. E, naturalmente, qui in America, è stata custodita all’interno della Costituzione come uno dei diritti inalienabili dell’uomo”, ha spiegato Greenberg.

L’accusa del medico, che della malattia ha vissuto in prima persona le due facce della medaglia, come paziente prima e come terapeuta poi, va a chi asserisce che la depressione sia un male ‘biochimico’, che dipende dalla mancanza di serotonina nel cervello, ormone che se assunto attraverso psicofarmaci promette di ‘sconfiggere’ tale malattia, sconfitta che secondo Greenberg non è reale: “Una delle cose più strane nella rivoluzione degli antidepressivi è negli stessi farmaci che l’hanno scatenata, vale a dire gli SSRI, gli “inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina” che fecero la loro prima apparizione negli Usa nel 1988”, psicofarmaci la cui efficacia è dubbia.

Infatti Greenberg ha fatto notare come “il più delle volte, anzi, negli esperimenti clinici non danno risultati migliori dei placebo. E allora viene da pensare che, se la depressione fosse davvero un fatto biochimico e se i farmaci fossero realmente mirati sulle cause responsabili, funzionerebbero molto meglio”, in questo contesto si inserisce il ruolo delle multinazionali farmaceutiche, per cui “una volta stabilito che la ricerca della felicità rappresenta lo scopo principale della vita, risulta piuttosto facile vendere alla gente prodotti destinati ad aiutarli in questo obiettivo”, ha osservato lo psicoterapeuta.

Il mito della felicità a tutti i costi nacque con il libro di Peter Kramer, ‘La pillola della felicità’, che andò aruba negli anni ’90 in ‘coincidenza’ con “il periodo in cui le prescrizioni di Prozac cominciavano ad invadere i ricettari”, fa osservare Greenberg, che sottolinea come nella vendita sia necessario convincere il consumatore che un certo prodotto gli è indispensabile: “In questo caso l’insufficienza corrisponde alla scarsità o alla mancanza di serotonina e il prodotto è il farmaco che la fornisce. L’idea che l’infelicità corrisponda a una carenza di serotonina che le medicine possono curare, nella migliore delle ipotesi, è chiaramente un mito. Ma si tratta di un mito assai potente”.

“Se i medici smettessero di dire alle persone che la loro sofferenza deriva da squilibri biochimici, e che la loro depressione è una malattia cronica che necessita di un trattamento farmacologico, tutti questi individui potrebbero finalmente compiere scelte più informate rispetto all’eventualità e al tipo di medicine da prendere”, spiega Greenberg oltre a sottolineare come spesso i medici tacciano sugli effetti collaterali dovuti agli psicofarmaci, preferendo una terapia farmaceutica rimborsata dalle assicurazioni americane invece della talk therapy, costosa terapia che sta sparendo negli Usa.

Insomma nel nome del denaro e della facile terapia, nella frenetica ricerca di una felicità forse non così necessaria, si preferisce indurre una dipendenza da psicofarmaci piuttosto che ascoltare chi ci è vicino, privilegio che pochi ormai riescono a permettersi. Basterebbe forse solo un pò di consapevolezza di se stessi, dei propri ritmi e di rispetto e attenzione per chi ci sta accanto per porre un freno al dilagare del male oscuro nella società moderna? “Penso che soltanto la verità ci renderebbe davvero liberi”, dice Greenberg, la verità su questa malattia che afflige l’uomo, sulle sue cause, sulla sua possibile cura senza farmaci e soprattutto sul perchè qualcuno ha deciso che la dipedenza da psicofarmaci, spesso dannosi, fosse l’unico rimedio valido.

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