ROMA – Il Vangelo di domenica 19 ottobre 2014 è tratto dal Vangelo secondo Matteo (25, 15-21).
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli:«Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose:
«Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo».
Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro:
«Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?».
Gli risposero:
«Di Cesare».
Allora disse loro:
«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Uno degli episodi più noti del Vangelo quello di domenica 19 ottobre. Qualcuno ha avanzato il dubbio che sia autentico e non invece frutto di un inserimento, di Matteo o di altro estensore, a scopi difensivi, per dimostrare ai romani la differenza fra i buoni sudditi cristiani, sempre meno ebrei e sempre più gentili, e i cattivi ebrei ribelli.
Non appare molto verosimile che Gesù Cristo, leader intransigente e estremista ebraico, giustificasse al suo popolo il pagamento delle tasse che i romani imponevano in Palestina.
La pressione fiscale era esorbitante e fu una delle cause, unita con l’incompatibilità fra ebrei e impero romano, a spingere gli ebrei alla rivolta e alla conseguente distruzione di Gerusalemme da parte del futuro imperatore Tito.
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