Bosman, l’uomo che ha cambiato il calcio, ora è solo e alcolizzato

Pubblicato il 21 Marzo 2011 - 20:50 OLTRE 6 MESI FA

Jean Marc Bosman

LONDRA, 21 MAR – Il suo nome è legato ad una legge che ha cambiato per sempre il calcio, liberalizzando il mercato dei giocatori in scadenza di contratto, ma oggi Jean-Marc Bosman è un anonimo ex atleta, segnato dall’alcolismo, che vive del sussidio di disoccupazione.

Lontanissimo dalle luci della ribalta, dimenticato dal mondo dorato del pallone, ignorato da quei colleghi che grazie ad una storica sentenza ha contribuito a rendere milionari. Lui, ex centrocampista dello Standard Liegi, giura di non nutrire invidie né gelosie, ma chiede solo un po’ di riconoscenza, perché sa che un posto nella storia del calcio – conquistato non in campo ma nelle aule di giustizia – gli spetta di diritto.

Oggi Bosman ha 46 anni, porta ancora i segni dell’alcolismo, edè costretto a vivere lontano dalla famiglia, l’attuale compagna Carine e i due figli Martin e Samuel. Dopo anni di silenzio ha accettato di parlare con un cronista del tabloid Sun, al quale ha spiegato quanto gli è costato combattere il sistema-calcio: prima l’ostracismo delle società, poi l’alcolismo, adesso l’indigenza economica.

”E’ stata molto dura – le parole di Bosman -, perché io sono l’unico che ne ha pagato le conseguenze. La gente che non mi conosce pensa che abbia messo da parte una fortuna, ma la verità è che un giorno dello stipendio di Wayne Rooney è più di quanto possieda oggi”. ”I soldi del mio risarcimento – precisa – si sono volatilizzati in spese legali. Mi avevano promesso una partita-celebrazione, ma mi sono dovuto accontentare di un incontro con il Lilla davanti a duemila spettatori. Briciole”.

La sua battaglia legale inizia nel 1990: dopo gli anni allo Standard Liegi, nel 1998 passa all’RFC Liegi. Due anni dopo chiede il trasferimento in Francia, al Dunkerque. Ma i belgi non trovano l’accordo con il club francese e si oppongono. Bosman cita in giudizio il club e nel frattempo gioca nelle serie minori. Qualche anno più tardi il Charleroi lo ingaggia, offrendogli meno del minimo sindacale (l’equivalente di 750 euro attuali). Cerca altri contratti ma la risposta è sempre la stessa. ”Nessuno lo diceva apertamente – spiega – ma sapevano chi ero e non volevano avere nulla a che fare con me”. La sua carriera finisce così.

Torna a vivere a Liegi, si sistema in un ex garage riadattato a monolocale, entra nel tunnel dell’alcolismo nonostante la vittoria in tribunale nel 1995. Una sentenza che oggi consente ai calciatori comunitari di trasferirsi gratuitamente da un club all’altro alla scadenza del contratto. E guadagnare cifre da capogiro. ”Avrei dovuto sentirmi finalmente libero, in verita’ la pressione era troppa. Anche la stampa mi attaccava. La Comunita’ Europea non voleva accusare il sistema e sapevo che me l’avrebbero fatta pagare. Avrei potuto fermarmi prima della sentenza, ma sentivo che era importante e sono andato fino in fondo”. Fino alle estreme conseguenze. La depressione, l’alcolismo. ”Non uscivo piu’ di casa, ho cominciato a bere sempre di piu’. Buttavo giu’ di tutto, birra o vino”.

Poi, il ricovero nel 1997, quando si ritrovò sull’orlo del precipizio. Se da giocatore possedeva due appartamenti e due Porsche, oggi – semicalvo, dall’apparenza stanca e appesantita – vive da solo nella grigia periferia di Liegi. ”Non chiedo nulla ai miei colleghi, sono contento per loro e orgoglioso di aver fatto in modo che non siano trattati piu’ come schiavi. Chiedo solo che la gente sappia chi c’e’ dietro quella legge: un ragazzo che e’ diventato un alcolizzato”. .