Calcio in Italia all’ultimo stadio. È allarme. Abbiamo gli impianti più impianti più vecchi d’Eurooa, età media 68 anni, il doppio di quelli inglesi.
Stadi vecchi, poco sicuri, obsoleti, con un basso livello di innovazione. E naturalmente non riescono ad attrarre fan, le famiglie. Lo certifica Deloitte nel suo recente studio. La multinazionale, leader mondiale di servizi (sede a Londra, 350 mila dipendenti, filiali in 150 Paesi), ci avvisa: l’Italia è il grave ritardo.
Sottinteso: vi siete candidati per ospitare l’Europeo 2032 ma con questa situazione non andrete da nessuna parte. Dopo il Mondiale ‘90 tutto (o quasi) fermo. È stato fortemente ristrutturato il Delle Alpi di Torino il Sant’Elia di Cagliari (primo caso di demolizione).
Oppure il Friuli di Udine e il Franchi di Firenze (progetto in progress). E ancora: si è fatto un gran parlare di progetti per l’Olimpico di Roma, il Meazza 97enne, il Ferraris di Genova. Il (triste) risultato è sotto gli occhi di tutti.
Atro dato da terzo mondo del pallone. La maggior parte degli impianti sportivi (serie A e B) sono di proprietà pubblica. In Germania e Inghilterra gli stadi proprietà sono oltre l’80%. Ciò significa che in Italia “sono scomodi, vecchi e complicati nelle soluzioni. E pessimi per qualità visiva.
Molti stadi del Belpaese hanno ancora la pista di atletica leggera intorno al campo di calcio. Questo fa sì che i tifosi, soprattutto nelle curve, siano molto lontani dalle azioni di gioco; la distanza fra il pallone e il tifoso può arrivare a 180 metri e questo condiziona in maniera grave la qualità dello spettacolo visivo.” Una enormità per chi paga il biglietto a caro prezzo soprattutto a certe partite di livello.
È fuor di dubbio che la rinascita del nostro calcio passa dalla ristrutturazione e costruzione di stadi, ancor meglio se si riesce a renderli di proprietà delle squadre. Diversi club fanno il pienone ogni domenica ma non avendo un proprio stadio ricavano una percentuale di guadagni molto inferiore rispetto a quelli che avrebbero con un impianto proprio.
Tra tutte spiccano Inter, Milan e Roma che occupano i primi 3 posti per affluenza media e perdono così milioni di euro ad ogni sold out. Nuovi impianti che oltre agli stadi comprendono strutture sportive e non, permetterebbero di riqualificare aree abbandonate all’oblio urbano.
Per ogni gara è stato calcolato che mancano all’appello il 44% degli spettatori. Il 13% degli stadi italiani sono di proprietà privata ma gli investimenti negli impianti sportivi rappresentano una rarità. Come in Inghilterra occorre rinnovare la propria identità consegnandosi al pubblico non più come esclusiva del tifoso ma anche di bambini, famiglie, turisti, ospiti business fino all’età cosiddette fasce più deboli, anziani e disabili.
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