Calcio sotto tiro. In Italia e all’estero. C’è di tutto: razzismo, liti, intimidazioni, cori vergognosi. Domanda d’obbligo: ma questo calcio non cambia mai?
A leggere gli ultimi report la risposta purtroppo è sconfortante, per non dire avvilente. Peggio : frustrante. Due mesi fa lo studio presentato dalla Associazione Calciatori (1.225 professionisti in serie A, 711 in B, 963 in C) ha lanciato l’allarme. E fornito numeri. Solo nella scorsa stagione gli episodi di intimidazione sotto varie forme sono stati 221 di cui 52 di matrice razzista.
Sette anni fa se ne sono registrati “appena” 21. Altro dato: l’85% degli episodi dell’ultima stagione si concentra nei campionati professionistici .
Numeri inquietanti. Dentro e fuori gli stadi. Impossibile , ad esempio, dimenticare le scene registrate sulle autostrade tra ultras napoletani e romanisti. Una selvaggia resa dei conti; o le risse negli spogliatoi tra dirigenti , non ultimo il poco edificante scontro Mou-Lotito. E chi non ricorda la famosa testa di maiale fatta rotolare davanti alla sede della Sampdoria, nel cuore di Genova.
Il problema non è solo italiano. Anche all’estero succede di tutto. Ricordiamo ad esempio, l’ondata di insulti razzisti via social contro tre dei calciatori- Rashford, Sancho e Saka – che hanno sbagliato i rigori nella famosa finale dell’Europeo contro l’Italia.
Secondo i dati di Kick It Out (Organizzazione londinese che studia e sfida la discriminazione dal 1997) gli episodi razzisti nel calcio di vertice dell’ultima stagione inglese sono stati 183. Numeri analoghi in Spagna e Germania. In quest’ultimo Paese è data l’opportunità alle società di “Non far accedere allo stadio le persone non gradite”.
Il neo ministro per lo Sport Andrea Abodi è preoccupato e sta pensando alcuni provvedimenti. Ha detto giorni fa :”Stiamo facendo grandi passi in avanti affinché lo sport entri nella nostra Costituzione attraverso un riconoscimento pieno della sua utilità sociale.
Di questo ringrazio i parlamentari di Camera e Senato per l’impegno comune. Sono certo che la collaborazione consentirà non solo un riconoscimento ma un diritto di fatto. Lo sport, in particolar modo quello di base, è una difesa immunitaria sociale, è uno straordinario strumento di socialità e di educazione che avrà sempre più bisogno anche di luoghi adeguati per potersi esprimere al meglio a partire dalle scuole”.
Ha anche aggiunto:” Confermo il mio impegno per consentire allo sport di essere sempre più strumento d’inclusione, contrasto alla povertà educativa e prevenzione della vulnerabilità”.
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