Daghestan: Eto'o e il calcio contro il terrorismo

MAKHACHKALA – Non solo Eto'o e Roberto Carlos: portato l'Anzhi sul palcoscenico del calcio mondiale, l'oligarca Suleiman Kerimov sogna di contagiare l'intero Daghestan con la febbre del pallone. Magari strappando un po' di giovani dalla strada e dal rischio terrorismo nella repubblica del Caucaso russo più colpita dagli attentati: oltre 100 vittime quest'anno.

Il progetto – lanciato a fine ottobre a Khasaviurt, sede del primo centro – è costruire in tre anni sette nuovi centri sportivi con scuole calcio per bambini, raddoppiare lo stadio Dinamo di Makhachkala fino a 29mila posti, una nuova "Anzhi Arena" con un'accademia per le migliori leve. E 151 nuovi campetti entro il 2021. Tutto gratuito, per duemila allievi. Costo: 25 milioni di dollari, spiega il direttore dell'Anzhi Club, German Chistjakov. "Lo scopo è sociale: dare una vita normale al Daghestan, rafforzare pace e stabilità". "Vogliamo qualcosa di cui essere fieri. Già da un anno ci conoscono per il calcio e non solo per il terrorismo", aggiunge Mihail Ubaidulaev, capo del programma.

Dietro la generosità di Kerimov, probabilmente, un obolo "dovuto" al Cremlino per continuare a fare affari nel paese evitando "problemi". E un investimento d'immagine in vista dei mondiali di calcio Russia 2018. Intanto la calciomania contagia la repubblica, finora famosa per la lotta libera. All'ingresso dello stadio nell'ultima partita in casa (Anzhi-Cska), c'era ressa. I biglietti costano 250 rubli (ca. 6 euro): abbordabili, ma molti rimangono fuori, i posti subito esauriti. Dentro, atmosfera entusiasta: uomini, bambini e ragazzi al 95%, ma anche qualche fanciulla, persino nella Security – massiccia. Tifo composto: l'insulto massimo dagli spalti è un "Vergogna!" sul 3-5 finale, il resto sono ola e "Forza Caucaso!". Niente a che vedere con la violenza degli ultrà russi. La curva dei supporter avversari è vuota.

"Siamo per un tifo educato, nella tradizione locale: l'islam non proibisce lo sport, solo l'aggressività" dice Artur Dobromravov, 20, membro di "Dikaia Divisia" (Divisione Selvaggia, come il battaglione caucasico agli ordini dello zar Nicola II), il fan club nato col nuovo Anzhi. La sede è in una palazzina a pochi passi dal mare, uno dei pochi ritrovi per i giovani di qui, bar a parte: 300 iscritti, filiali in varie città russe. Le leggende del calcio mondiale in città? "Merito di buone PR". Ma i giocatori vivono a Mosca, a 1600 km, a Makhachkala vengono solo per le partite. "Certo, è molto male. Speriamo che prima o poi si trasferiscano qui". "Non è un problema di sicurezza – giura Chistiakov – ma di strutture adeguate per gli allenamenti: il nostro obiettivo è vincere, e sono sicuro che l'anno prossimo vinceremo il campionato russo". Per le strade manifesti con le foto di Carlos ed Eto'O e lo slogan: "Anzhi – Una nuova storia per il Daghestan".

Funzionerà? Per ora la squadra è ottava in classifica. Secondo Gulnara Rustamova, attivista che denuncia gli abusi dei diritti umani nella repubblica, "lo sport è una cosa positiva, unisce le persone. Ma temo sia un modo per chiudere gli occhi sui veri problemi". Povertà, disoccupazione, corruzione, violenza, repressione religiosa. "E la strategia di Mosca – riversare qui un fiume di soldi per turismo e sport per combattere il terrorismo – rischia di creare una lotta per le risorse".

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