Daniele De Rossi messo alla porta dalla Roma: “Sarei voluto rimanere. Dirigente? Si incide poco”

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Daniele De Rossi messo alla porta dalla Roma. Lui: “Non sono scemo, lo avevo già capito”

ROMA – Daniele De Rossi e la Roma si dicono addio. Il capitano però non dice addio al calcio. De Rossi, 36 anni, dopo diciotto anni in maglia giallorossa, ha deciso, messo alla porta dalla Roma che non gli ha rinnovato il contratto da calciatore, di proseguire la sua carriera altrove. La sua ultima partita con la Roma sarà allo stadio Olimpico il 26 maggio contro il Parma.

La conferenza stampa si è svolta alla presenza di tutta la squadra (Totti compreso) che indossava la maglia di De Rossi ed è stata preceduta da un intervento in cui il Ceo Guido Fienga ha spiegato di avere sperato che De Rossi gli facesse da vice.

Cambieresti qualcosa nella tua carriera alla Roma?

“Farei scelte diverse nel quotidiano – spiega De Rossi -, in alcune cose detto, cose di campo. La mia decisione di rimanere per sempre fedele a questa squadra non la cambierei mai. Se avessi la bacchetta magica metterei in bacheca qualche coppa in più”.

Oggi quando si è sparsa la notizia i tifosi hanno dato spazio alla retorica: è vero, vinciamo poco, ma per noi De Rossi è una vittoria. Questo per te che cosa è? Una consolazione, o la sintesi dei tuoi sacrifici?

“Semplicemente un dato di fatto. L’hanno dimostrato in tanti anni, nel corso di episodi, più o meno positivi, di tenere a me. Ed io ho fatto la stessa scelta, e non li ho cambiati per qualche ipotetica coppa in più: ci sono stati tre o quattro anni in cui potevo andare in squadre che potessero vincere più della Roma. Ci siamo scelti a vicenda e oggi sarebbe stato un dramma se avessimo detto: “No era meglio andare via e vincere di più”. Lo stato attuale delle cose vede un grande amore che penso continuerà, anche se poi sotto forme diverse. Non escludo che tra qualche anno mi troverete con panino e birra a tifare i miei compagni”.

Che cosa hai pensato quando ti hanno comunicato la decisione? Il tuo futuro è già orientato?

“Mi è stato comunicato ieri, ma avevo capito. Ho 36 anni e so come vanno le cose se nessuno ti ha mai chiamato in questi mesi. Riguardo al futuro ringrazio l’amministratore delegato per l’offerta. Sono cose che vanno rispettate. Squadre? Non c’è ancora nulla, ero concentrato sulla corsa Champions. Stamattina mi sono arrivati 500 messaggi, vediamo se c’è qualche offerta. Mi sento calciatore e voglio giocare a pallone”.

Questa proposta di rimanere è sempre valida? Questo futuro da calciatore è già orientato verso qualche direzione? 

“Mi è stato comunicato ieri, ma io ho 36 anni non sono scemo, avevo capito se nessuno ti chiama per 10 mesi neanche per ipotizzare un contratto la direzione è quella. Io ho sempre parlato poco, anche quest’anno, un po’ perché non mi piace, non c’era niente da dire e non volevo creare rumori che potevano distrarre. Ringrazio Guido per l’offerta e come mi ha trattato in questi mesi. Devo ringraziare anche Ricky Massara, la sensazione che ci fosse stima reciproca era forte e la sensazione che si sarebbe potuto andare avanti da uno o due anni idem, ma sono decisioni che si prendono in società e globalmente: è divisa in più parti, sono cose che vanno rispettate e non posso uscire diversamente. Qualcosa ho sentito per le squadre, ma non ho cercato niente. Fino al pareggio di Genova ero convinto che la squadra sarebbe arrivata in Champions. Stamattina ho avuto 500 messaggi e vedo se c’è qualche offerte ma non ho direzioni particolari. Io mi sento un calciatore e mi ci sono sentito quest’anno. Ho ancora voglia di giocare a pallone, mi farei un torto a smettere adesso”.

Non era più giusto che la decisione l’avessi presa tu?

“Ho sempre detto anche a Totti, la penso uguale anche per Del Piero. Non sono d’accordo su questo, c’è una società a posta che decide se puoi o non puoi giocare. Possiamo discutere 10 ore su quanto sarei potuto essere importante per la squadra, che non li guardo perché altrimenti scoppio, ma qualcuno un punto deve metterlo. Ci siamo parlati poco quest’anno, un po’ mi è dispiaciuto, le distanze a volte creano questo e spero che migliori perché sono un tifoso della Roma. Non posso dire diversamente”.

Dopo una stagione così amara ed un risveglio come oggi. Te la senti di lanciare un’ancora?

“Io posso dare pochi consigli ai tifosi. Quello che posso consigliare e chiedere è di essere vicini ai giocatori. Sono persone per bene e meritano sostegno”.

Il ruolo dirigenziale che ti è stato proposto fa rivedere i tuoi piani di fare l’allenatore?

“Io ho sempre detto che potrebbe piacermi, potrebbe piacermi studiare per farlo. Il dirigente non mi attira particolarmente, ma qui a Roma avrebbe un senso diverso. La sensazione è che ancora si possa incidere poco, si possa mettere poco in un ambiente che conosciamo bene. Faccio fare il lavoro sporco a Francesco ed un giorno se cambierò idea lo raggiungerò. E’ vero che mi accoglieranno a braccia aperte, ma mi piacerebbe fare un lavoro che vorrei fare. E’ un percorso lungo e devo impararlo”.

Il ‘romanismo’ nella Roma è un elemento necessario?

“Il romanismo è importante ed è in mani salde. Lorenzo e Alessandro possono continuare l’eredità, non devono scimmiottare me e Francesco. Cristante non è romanista, ma dà l’anima in campo. La Roma ha bisogno di professionisti, poi se sono romanisti abbiamo fatto bingo. Bisogna fare una squadra ed è lo stato del nostro mercato”.

Ti aspettavi un addio così? 

“Mi sono preparato mentalmente senza immaginare quando ci sarebbe stato. Sono entrato in quel cancello a 11 anni, la mia macchina viene da sola qui la mattina. Io voglio giocare, il distacco ci sta, un minimo di differenze di vedute ci sta. Non ho rancore nei confronti di nessuno, parlerò col presidente un giorno e con Franco Baldini, non ho problemi. Mi immaginavo zoppo con i cerotti e loro che mi chiedevano di continuare, non è andata così, ma devo accettarlo e vado avanti. Io ad un giocatore come me l’avrei rinnovato il contratto, potevo dare a livello tecnico, quando ho giocato ho fatto bene, nello spogliatoio risolvo problemi. Se fossi un bravo dirigente mi sarei rinnovato, lo metti in preventivo però, non puoi farci nulla”.

Come ti spieghi che adesso c’è una sorta di fuggi fuggi generale? Da Manolas a Dzeko… 

“Un piccolo dispiacere che ho negli anni è che tante volte ho avuto la sensazione che la squadra diventasse molto forte, molto vicina a quelli che vincevano e poi un passo indietro. Sono leggi del mercato: alcuni possono permettersi una macchina ed altri macchine diverse. Non posso farne una colpa, non entro nei numeri, spero che la Roma con lo stadio possa diventare forte. Tanti giocatori sono andati via e dopo due mesi mi hanno chiamato chiedendomi di tornare. La gente si abitua ad altri posti, ma qui si sta bene, è una piazza calda per fare calcio e bisognerebbe fare un passo in più. Qui c’è futuro. Si dovrà sbagliare il meno possibile, ma ne parleremo più avanti, oggi parliamo di altro”.

Quando ti sei accorto che non sarebbe arrivato il rinnovo? 

“E’ una consapevolezza che pian piano è cresciuta durante l’anno. Non c’è stato un colloquio, ne ho parlato un paio di volte con Monchi e mi ha rassicurato. Forse lo scombussolamento societario non ha aiutato. Io la sensazione ce l’ho sempre avuta. L’ultima volta ho firmato due anni di contratto il giorno dopo che ha smesso Francesco. Io il 27 maggio ho alle 15 un aereo e vado in vacanza. Ho bisogno di passare un po’ di tempo senza pensare al calcio, anche se poi dovrò trovare una squadra. Devo parlarne a casa, con me stesso, col mio procuratore, troppa gente dovrò interpellare, vedremo”.

Che partita cambieresti? 

“Ogni anno se ne aggiunge una nuova. La partita che vorrei cambiare forse è Liverpool-Roma. I rimpianti li ha anche Messi, che non ha vinto il Mondiale. Ognuno vive di rimpianti, perché la vittoria è il fine ultimo di quello che facciamo. Io devo ringraziare Dio per la carriera ed avrei sognato di fare quella di mio padre, che è il mio idolo. Sono fortunato perché ho fatto il lavoro che mi piaceva in una squadra che amo tantissimo. Ringrazio anche gli avversari, tante emozioni le ho sentite lì: i derby, a Napoli, a Bergamo e così via. Il calcio è contrapposizione, un po’ di tifo ed ignoranza. Sono contento di aver avuto nemici”.

La conferenza si conclude con un lungo applauso. De Rossi saluta uno ad uno i compagni di squadra con un lungo abbraccio.

 

 

 

 

 

 

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