Diritti tv, la Lega si spacca. Grandi club da una parte, piccoli dall’altra. E Beretta fa Ponzio Pilato

MILANO – Cinque voti favorevoli (Udinese, Catania, Parma, Palermo e Sampdoria), cinque contrari (Juventus, Inter, Milan, Napoli e Roma) e il Consiglio di Lega si rifiuta di dare attuazione alla delibera dell’Assemblea di venerdi scorso. Tutto da rifare, si torna in Assemblea il 3 maggio. Questi sondaggi per tentare di contare i tifosi (o i sostenitori, come dice qualcuno e la differenza che sembra sottile può valere dai 3 milioni di euro per Roma e Napoli agli 8 per la Juventus) proprio non si devono fare.

L’assemblea delibera con i trequarti di maggioranza 15-5, il Consiglio distrugge con un pareggino, striminzito 5-5, che rimanda tutto in alto mare. Chissà se gli ideatori della legge Melandri-Gentiloni, quella sulla vendita collettiva dei diritti tv, si sarebbero immaginati che l’ultimo pezzetto (il 25%) delle loro disposizioni avrebbe provocato mesi di discussione inutile e, alla fine, la prima clamorosa frattura della neonata Lega di A.

”Senza strategia si sta distruggendo il calcio italiano”, è l’allarme lanciato dall’ad dell’Inter Ernesto Paolillo che arriva in Lega e subito fa capire che la riunione del venerdì santo è destinata a somigliare ad una via Crucis. ”Si stanno togliendo legittime risorse alle squadre che più investono nel calcio – ha spiegato Paolillo – ripartendole a chi investe molto meno”. In effetti con la vendita collettiva dei diritti gli introiti delle grandi sono generalmente diminuiti a vantaggio dei piccoli. Ecco perché le big non sono disposte a mollare sui criteri coi quali si debbono distribuire gli ultimi 200 milioni, il 25% della torta complessiva e non hanno digerito la ‘botta di compatta maggioranza’ con la quale venerdì scorso l’Assemblea le ha messe nell’angolo.

Ma la crisi è rischiosa, tanto è  vero che Tommaso Ghirardi fa intravvedere una prospettiva che porterebbe alla fine del calcio cosi’ come lo conosciamo. ”Alla fine le grandi si facciano il loro campionato europeo – dice il presidente del Parma – e vorrà dire che le altre 15 faranno un campionato italiano dei poveracci”.

”Noi – aggiunge – abbiamo votato che le risorse vengano distribuite una volta che sia stato scelto un criterio e abbiamo dato mandato a delle società demoscopiche di fare la ricerca. Perché non si può fare?”. Non si può fare perché  i criteri della conta non piacciono alle big che, siccome in assemblea sono il 25%, ma stanno tutte in Consiglio, hanno aspettato questa tappa per bloccare la decisione. ”Era fatta male tecnicamente e non eseguibile”, ha spiegato l’ avvocato Leandro Cantamessa legale del Milan. Si torna in assemblea il 3 maggio, annuncia alla fine il presidente dimissionario Maurizio Beretta che avrebbe avuto l’undicesimo voto, ma che si è comprensibilmente astenuto.

”Ho tenuto conto – ha detto – che l’Assemblea aveva affidato l’esecutivita’ della delibera al Consiglio dopo aver respinto una mozione che voleva invece affidarla al Presidente o a un altro organo della Lega”. Intanto sono stati sospesi i pagamenti dell’ultima tranche dei diritti, mentre per quelle precedenti si erano effettuati con fatturazione provvisoria, salvo conguaglio. Ma il tempo adesso stringe davvero. Insomma la situazione è seria – bisognerà vedere come reagiranno i quindici club che si sono visti annullare la delibera dell’assemblea sovrana per statuto – ma l’unità non è a rischio, almeno secondo Beretta. ”Il motivo che tiene tutti insieme – sottolinea – è l’organizzazione delle competizioni. I soldi sono un aspetto importante, ma derivano indissolubilmente dal primo”.

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