Dubai, la corsa di cavalli più ricca del mondo: 26 milioni di dollari di premi

La World Cup di Dubai

La più grande pioggia di dollari per una corsa di cavalli mai capitata nella storia, qualcosa come 26 milioni e 250 mila bigliettoni verdi di premi.

Tutti insieme, sabato, nel nuovissimo ippodromo di Meydan Grandstand, Emirati Arabi, per la Dubai World Cup, un impianto stupefacente costruito con una tribuna lunga un chilometro e un canale navigabile che lo collega al centro della città per portarci gli yacht e i signori dei miliardi, in mezzo alle scuderie, ai ristoranti, ai giardini e ai servizi di lusso, compresi un campo di golf da diciotto buche e un esclusivo hotel a cinque stelle con le suites affacciate sulla pista.

La corsa clou della riunione garantisce dieci milioni di dollari da sola, sei dei quali per il vincitore. A Dubai si sono messi a fare pure la Maratona più ricca del mondo: duecentocinquantamila dollari ai due vincitori e bonus da un milione per il primato mondiale (con quel sole del deserto e con quel clima se li meriterebbe tutti). E poi il tennis e il golf regalano altri lasciti milionari.

Ma i cavalli sono un’altra cosa ancora, una sfilata di miliardari e belle donne con cappellini stravaganti, di sceicchi con le loro corti infinite e appassionati molto british che abbandonano la tradizionale Ascot per questa corsa nel deserto diventata l’appuntamento ippico più importante del mondo.

Ma non è così incredibile come può sembrare, questo trionfo di Dubai nel regno dell’ippica, alla faccia della crisi, che neanche un anno fa dicevano avesse zavorrato il cuore finanziaro del suo impero nel deserto con 59 miliardi di dollari di passivo, il 50 per cento di progetti da edilizia residenziale e commerciale in meno, e il 45 per cento di posti di lavoro cancellati. Però, nello stesso tempo lo sceicco Mohammed Ben Rached al Maktoum aveva appena finito di minacciare Londra: «O aumentate i montepremi o non verremo più alle vostre corse di cavalli». Poi aveva aggiunto: «La Gran Bretagna è il più bel posto del mondo per chi ama i cavalli, ma noi dobbiamo salvaguardare i nostri interessi».

In effetti, ad esempio, il celebre Derby di Epsom è finito al ventesimo posto al mondo nella classifica dei montepremi. In Inghilterra la crisi ha colpito. E il fatto è che i fratelli al Maktoum (tutti sceicchi, uno ministro degli Interni, l’altro presidente del consiglio) oltre ad amare i cavalli, li comprano e li allevano nelle loro stupende scuderie per poi metterli in corsa in tutte le gare che contano. Da dieci anni a questa parte, hanno comprato mille purosangue, cioè il dieci per cento di tutti quelli messi in vendita nelle aste britanniche. Valore: un milione 500 mila euro.

È un capitale da salvaguardare, dicono, e i montepremi possono risarcire quelle fatiche. I fratelli al Maktoum hanno cominciato a disertare la grande asta di cavalli di Newmarket e gli affari sono crollati del 25%, mettendo in agitazione un mondo che solo in Inghilterra dà lavoro a 100 mila persone. D’altro canto «business is business» e, tanto per rendere l’idea, un cavallo proletario come Invasor, che è oggi il più famoso del mondo, ha già moltiplicato 400 volte il capitale iniziale investito dai suoi primi tre proprietari (ventimila dollari).

Invasor è un cavallo nato in Uruguay, fuori dai grandi circuiti dell’ippica, dagli Stati Uniti all’Inghilterra fino a Dubai, per l’intuizione di un allevatore italiano, Sandro Miserocchi, che aveva fatto accoppiare sua madre con uno stallone statunitense, Candy Stripes, che nessuno voleva e che tutti trattavano come un buono a nulla.

Invece, da allora Invasor ha vinto dappertutto, da una parte all’altra dell’Oceano, fruttando la bellezza di 8 milioni di dollari, coccolato dal suo trainer americano, Kiaran McLaughlin, che da 15 anni vive a Dubai, e montato da un ragazzo panamense che ha appena compiuto la maggiore età, Fernando Jara.

Il suo proprietario, guarda caso, è Hamad Al Maktoum, il figlio di Mohammed al Maktoum, che nell’ultima corsa nel deserto, l’anno scorso, si è intascato tutta la munifica ricompensa. In famiglia dicono di averla già reinvestita sui cavalli. Come l’Aga Khan, che, nei mesi della crisi di Dubai, ha acquistato il campione irlandese Sea The Stars per farlo accoppiare con la bellezza di 120 fattrici, sperando di riuscire a sua volta a tirar fuori un fuoriclasse.

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