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Gigi Buffon: “Quale Hitler, per me 88 voleva dire avere quattro palle. Io fascista? Sono un anarchico conservatore”

Intervistato da Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera, Gigi Buffon, tra le tante cose, ha parlato anche delle polemiche in cui finì per quell’88 scelto come numero di maglia. “Non avevo la minima idea – dice – che per qualcuno evoca Heil Hitler, essendo la H l’ottava lettera dell’alfabeto; per me voleva dire avere quattro palle”. Ma Buffon, chiede Cazzullo, di preciso come la pensa? “Di sicuro non sono fascista, tanto meno razzista. Ho chiamato il mio primogenito Louis Thomas, che ora gioca attaccante nelle giovanili del Pisa, in onore dell’eroe della mia infanzia: Thomas N’kono. Sono stato l’unico europeo ad andare in Camerun per il suo addio al calcio: un ricordo stupendo”. “Le pagine su N’kono sono tra le più belle della sua autobiografia – insiste Cazzullo -. Ma, ripeto: lei come la pensa? “Sono un anarchico conservatore. Carrara, la mia città, è terra di anarchici. Credo profondamente nella libertà, e ho pagato un prezzo per questo. Abbraccio i giornalisti, ma non ho mai cercato la loro complicità. E i giornali, i social, contano molto nel nostro ambiente”.

Sul ruolo di portiere

Gigi Buffon: “Quale Hitler, per me 88 voleva dire avere quattro palle. Io fascista? Sono un anarchico conservatore” (Foto Ansa) – Blitz Quotidiano

“C’è qualcosa di masochista, nel portiere. I campi della mia giovinezza erano gli stessi degli anni 70: l’area dura come il cemento. I vecchi portieri li riconosci dalle mani ferite, dai fianchi dolenti, dalle tante volte che sono caduti fino a sanguinare. Ho avuto un solo procuratore nella vita, Silvano Martina. E l’ho scelto perché aveva le mani piene di cicatrici. Mani da portiere”.

La depressione

“Era la fine del 2003, il campionato era cominciato bene, poi cominciammo a perdere colpi e stimoli. Eravamo reduci da due scudetti di fila: dopo l’up, il down. Mi si spalancò davanti il vuoto. Cominciai a dormire male. Mi coricavo e mi prendeva l’ansia, pensando che non avrei chiuso occhio. (….) Il dottor Agricola fece la diagnosi, poi confermata dalla psicoterapeuta: depressione”. Come ne è uscito? “Rifiutai i farmaci. Ne avrei avuto bisogno, ma temevo di diventarne dipendente. Dalla psicoterapeuta andai solo tre o quattro volte, ma mi diede un consiglio prezioso: coltivare altri interessi, non focalizzarmi del tutto sul calcio”.

 

Gianluca Pace

Laureato in Storia contemporanea, a Blitz quotidiano dal 2011. Qui mi occupo, si fa per dire, di quel che accade in questa misera Italia e nei dintorni. Con queste poche righe dovrei mettere in risalto, con un po’ di ironia e senza farlo notare troppo, le mie poche qualità. Ma insomma, alla fine che ci frega?

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