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Grobbelaar: “Ho ucciso tante persone, non posso dire quante”

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Grobbelaar: “Ho ucciso tante persone, non posso dire quante”

LONDRA – La vita di Bruce Grobbelaar, ex portiere del Liverpool degli anni ottanta, è stata segnata dalla guerra. La confessione del 60enne è arrivata ai microfoni del Guardian. Ricordi terribili quelli di Grobbelaar, quando fu costretto a 18 anni, nel 1975, a prestare servizio militare per 11 mesi nella Guardia Nazionale Rhodesiana (Rhodesia era il nome che aveva a quei tempi lo Zimbabwe, ndr), il suo Paese natale, durante la guerra civile (1964-1979).

Grobbelaar era stato arruolato nell’esercito della Rhodesia come scout: il suo compito era quello di controllare i guerriglieri antigovernativi di Robert Mugabe, che nel 1980 sarebbe poi diventato Primo Ministro e primo uomo di colore in Zimbabwe a ricoprire quella carica. Di quegli undici mesi l’ex portiere porta ancora i segni addosso, accumulati tra i ricordi che oggi lo tormentano: “Spari, vai a terra e c’è uno scambio di proiettili. Poi senti delle voci che ti dicono ‘Caporale, mi hanno colpito!’ e fai per zittirle, altrimenti vieni ucciso tu e gli altri. Quando cessa il fuoco vedi corpi a terra dappertutto. La prima volta tutto quello che hai nello stomaco ti risale fino alla bocca”, è uno dei momenti raccontati nell’intervista concessa al Guardian.

Dopo quella drammatica esperienza nell’esercito rhodesiano, Grobbelaar ha rischiato di finire in depressione, mentre tanti suoi coetanei si sono tolti la vita. “Si uccisero simultaneamente in due bagni vicini all’accampamento” ricorda in particolare il 60enne nato a Durban, che ha affermato di aver ucciso tante persone. Senza però voler dire il numero esatto delle vittime: “Quante persone ho ucciso? Non posso dirlo. Ho ucciso tante persone e per questo ho sempre vissuto la mia vita giorno per giorno. Posso solo pentirmi di quello che ho fatto, ma non posso cambiare il mio passato. Un mio ex compagno tagliava le orecchie a ogni uomo che ammazzava e le metteva in un vaso: aveva diversi vasi. La sua famiglia fu torturata e voleva vendetta”.

Il calcio ha rappresentato un’ancora di salvezza per l’ex portiere del Liverpool, celebre sul campo per la sua danza ipnotica esibita in occasione dei calci di rigore nella finale di Coppa dei Campioni giocata e vinta a Roma contro i giallorossi nel 1984. In Inghilterra Grobbelaar era arrivato dopo la fuga in Canada a guerra finita, nel dicembre 1979, e la chiamata di Bob Paisley che l’aveva notato nel Crewe Alexandra. “Il calcio mi ha davvero salvato dalla depressione e ha allontanato i pensieri oscuri della guerra – ha spiegato – i tifosi del Liverpool mi chiamavano Jungleman, uomo della giungla. Dicevano che non ero bianco, che ero un nero con la pelle bianca”. 

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