Ibra e Leo tradimento alla milanese: Totti e Del Piero ultime bandiere

E' tempo di calciomercato

Non e’ come per Seedorf o Pirlo, passati all’Inter da stelle incostanti o talenti incompresi e diventati poi capisaldi del Milan.

Non e’ nemmeno come per Ibra, Dio della guerra bifronte con i nerazzurri – sterminatore in campionato, impotente in Champions – e che in rossonero sembra invincibile. Il ‘tradimento’ di Leonardo in senso opposto, dal Milan all’Inter, e’ forse qualcosa di diverso, di speciale. Colpisce non solo i tifosi, ma anche il sistema Milan. Il brasiliano e’ un uomo rossonero a tre dimensioni: e’ stato giocatore, dirigente e per un anno anche allenatore del Diavolo.

Uno che in quell’ambiente ha passato molti anni della sua vita. Senza perdere indipendenza, neppure nei confronti di Berlusconi. Il ‘tradimento alla milanese’ inizia a diventare un genere a se’, che ha avuto tra le sue massime espressioni recenti Ronaldo, quello senza Cristiano davanti. Il Fenomeno lascio’ l’Inter per il Real Madrid nel 2002 dopo aver spezzato i cuori nerazzurri con gol fantastici, infortuni agghiaccianti, le lacrime del 5 maggio e un addio senza riconoscenza. Torno’ a Milano, versante Milan, nel 2007, ma ormai l’Inter vinceva e lui non era piu’ lo stesso. Segno’ in un derby, i nerazzurri prevalsero 2-1 e Moratti in tribuna fece un ombrello liberatorio. In tempi lontani si ricorda Meazza, che dopo 13 anni leggendari all’Inter si concesse due stagioni belliche al Milan (’40-’42), gia’ in declino e con un piede malato.

In mezzo tra ‘Pepin’ e Ronnie, Baggio negli anni Novanta – che pero’ il vero ‘tradimento’ lo consumo’ dalla Fiorentina alla Juve -, e negli Ottanta Serena, divisosi anche fra Torino e Juventus. Quindi Vieri, rossonero nel 2005 dopo oltre 100 gol nerazzurri, forse anche per vendicarsi dei pedinamenti notturni subiti all’Inter. Di ‘passaggi al nemico’, non solo nella stessa citta’, e’ zeppa la storia del calcio italiano, ma non tutti hanno lo stesso peso. Dipende dal calciatore o dall’allenatore che tradisce, dalla capacita’ di avvincere i tifosi, di restare nell’anima. Una citta’ che come Milano ne ha viste e’ Roma.

Il primo fu Fulvio Bernardini, che inizio’ nella Lazio (anni ’20) e dopo gioco’ nella Roma (anni ’30). Non pago, da allenatore fece il percorso inverso. E poi Cordova, Manfredonia, in anni meno lontani Capello -”mai allenatore alla Juve”, per la quale peraltro aveva gia’ ‘tradito’ come giocatore – che infranse il giuramento; o Emerson, ma gia’ a un livello emotivo piu’ basso. L’ultimo e’ Aquilani, dal cuore giallorosso alla Juventus con tappa a Liverpool. Le bandiere sono fatte per essere ammainate, un giorno. Di Totti e Del Piero si parla perche’ sono eccezioni. Gli altri sono solo umani.

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