Il fenomeno Sinner dilaga, è già sinnermania, perché Jannik piace tanto? Decise la sua vita a 13 anni

Il fenomeno Yannik Sinner (che in inglese vuol dire peccatore) dilaga senza limiti oramai in ogni generazione e in ogni contesto.

Questo ragazzo di 22 anni, altoatesino, figlio di un cuoco e di una donna di servizio in un albergo di san Candido, sta conquistando tutti con una rapidità e una ineluttabilità mai sperimentate neppure in questi tempi di immagine, di visibilità rapide come il vento,

Si potrà dire che la spiegazione è che si tratta di un campione italiano di tennis vincente in uno sport che sembrava un po’ marginale, un po’ secondario, quasi in decadenza rispetto alla voracità del calcio stramiliardario. Non che il tennis sia povero, anzi.

Sulla scia dei modelli tennistici iconici di questi ultimi anni, i famosi “fabulous four”, i favolosi quattro, Roger Federer, Nole Djokovic, Rafa Nadal, Andy Murray, lo svizzero, il serbo, lo spagnolo e l’inglese-scozzese, il set dei vincenti sembrava dedicato agli altri, dopo le epoche storiche degli australiani, degli americani, poi degli spagnoli e un po’ a turno degli altri, francesi, russi, perfino bulgari, ma gli italiani mai in cima.

Invece ecco, dopo qualche anno di folgoranti e anche episodiche resurrezioni italiche, con Cecchinato, Berrettini, Musetti, Sonego, spuntare quel ragazzo dalla grande testa di capelli rossi che a 18 anni faceva da sparring partner ai bigs nella dorata Montecarlo e diceva con aria tranquilla e leggero accento tedesco che lui aveva come progetto di essere nei primi cinque del mondo. Quattro anni dopo ci è riuscito.

E la fama totale è arrivata con la vittoria da lui propiziata nella Coppa Davis dopo 47 anni dall’unico precedente in Cile e con quella negli Australian Open, il torneo tra i cinque più importanti al mondo, con il quale si vincono anche due milioni di euro in una botta.

Fama mai vista per un tennista che viene ricevuto al Quirinale da Mattarella, insieme ai suoi compagni di squadra, ma il discorso ufficiale lo pronuncia lui, perfetto senza sbagliare una virgola. Emozionato anche no, ma conscio del passaggio nobile questo sì.

Da quarto al mondo nella seguitissima classifica mondiale, aggiornata ad ogni torneo, questo Yannik Sinner viene già considerato il numero uno, traguardo mai raggiunto da un italiano.

Ha sconfitto due volte di fila il numero uno, il serbo Nole Djokovic, un mostro del tennis e non solo, uno che parla dieci lingue ha un portafoglio ultra miliardario. E si è pure permesso di fare il no vax durante il Covid, facendosi cacciare dall’Australia come un malvivente e poi e tornando a vincere tutto.

Perchè Sinner piace così tanto? Perchè sembra un ragazzo normale, definizione che così non vuole dire niente. Ma nella realtà significa che è uno educato, semplice, proporzionato, attento.

Anche quando ha appena trionfato non si lancia nei folli festeggiamenti oramai rituali nello sport, dove i calciatori per celebrare un singolo gol sceneggiano perfomance incredibili.

Lui niente: allarga il suo sorriso semplice e va a complimentarsi con lo sconfitto. Nei commenti è lineare e dice sempre che bisogna subito tornare a lavorare per migliorarsi.

Nelle interviste è misurato ma non reticente, contento ma non euforico, loquace ma non esagera. Risponde a qualsiasi domanda e se fa una battuta non è mai sopra le righe ( o sotto). Parla perfettamente l’inglese, lingua ufficiale nel circuito tennistico. Oltre ovviamente al tedesco, la sua lingua madre.

Hanno ricostruito la sua vita quasi minuto per minuto e non esce mai uno sbaffo che non sia della più assoluta normalità italiana, forse un po’ sudtirolese. Ma non senza tentativi di gossip sulle sue fidanzate che, però, appaiono sfocate sullo sfondo.

Non sono la un po’ luciferina ex velina e star tv Monica Satta che si mostra con il suo fidanzato Matteo Berettini ad ogni occasione possibile, determinando ingiustamente le voci sul declino inesorabile del così promettente amico di Yannik.

Insomma conquista tutti perché in questi tempi di influencer, di invasati della comunicazione, di gente che si butta ovunque pur di comparire, esagerare e continuare a farlo in ogni modo, lui è sempre composto, appropriato, lineare.

In questi tempi di leaderismi forsennati ovunque e in ogni settore della vita civile, il fatto di essere super leader non esalta il nostro. Anzi. Si capisce che la visibilità gli pesa, ma _ bisticcio inevitabile_ non lo fa pesare.

Poteva primeggiare in altri sport, sopratutto nello sci, sport di casa sua, dove è sicuramente un nativo superdotato, già vincitore di campionati giovanili italiani, ma Sinner ha scelto il tennis, giocando fino da piccolo in un campetto tra le montagne piene di neve, sotto un tendone, dove un maestro di montagna super intelligente lo ha scovato miracolosamente.

Sinner se ne è andato di casa a 13 anni per entrare nella scuola di Bordighera, dove Piatti, il grande talent scout del tennis, fa crescere i possibili campioncini.

Andarsene di casa, dall’Alto Adige alla costa ligure, a 13 anni non è spesso un’operazione semplice per un ragazzino. Ma Yannik era già determinato e oggi parla di quel distacco dal grembo famigliare, dalle sue montagne, con una saggezza retrospettiva, senza indulgere a melanconie e difficoltà.

Si doveva fare e si è fatto anche se è costato. Oggi quando può, che vuol dire due tre volte all’anno, torna lassù a casa, si lava la macchina per strada e va pure a sciare.

Pure bene, anzi benissimo se la super campionessa dello sci, Sofia Goggia, che lo ha visto da vicino ammette: “Fa sugli sci, cose che non riesco a fare io….”.

Con la scioltezza prudente di uno che aveva detto da bambino: “Sugli sci se cadi hai perso la gara, a tennis se sbagli il punto ne hai tanti altri per rifarti, le gare di sci durano secondi quelli di tennis anche ore.”

Giudizi infantili, confortati da una carriera che è già incredibile a 22 anni.

Si può dire che oggi il ragazzo alto altoatesino con il capellino che trattiene il suo superciuffo rosso è già entrato nel ghota dei campioni italiani che si possono contare sulle dita di una mano per il successo mondiale, Alberto Tomba nello sci, Federica Pellegrini nel nuoto, Valentino Rossi nel motociclismo e pochi altri, se si contano i successi, le classifiche e la eco mondiale conquistata inconfutabilmente.

E uno così si permette di dire no a Amadeus, che lo ha insistentemente invitato al Festival di Sanremo, “perché non posso perdere due giorni di allenamento”.

Andare a Sanremo per fare cosa? Per salire tre minuti sul palco, magari far saltare una pallina e farsi applaudire da una platea di 10 milioni di telespettatori.

No, Sinner deve lavorare per migliorarsi ancora. Lo dice senza nessuna altezzosa distanza, ma con la semplicità con la quale accoglie le vittorie, sempre più numerose e anche le sconfitte, più rare, ma sempre possibili e magari anche al prossimo torneo.

Il tennis è uno sport micidiale che grazie a lui e ai suoi amici, lo stesso Berettini, oggi così vacillante, ma anche Lorenzo Sonego, il torinese lottatore, Lorenzo Musetti, il toscano di Carrara talentuoso e ondivago, Matteo Arnaldi il sanremese, sbucato come un fungo dai tornei minori, sta diventano popolare di più che ai tempi di Panatta e di Pietrangeli, per la velocità della comunicazione e l’intensità dell’offerta.

Ogni giorno, ogni sera si possono seguire partite di tennis in tv e via streaming. E così in un mondo sempre più veloce in tanti, sempre di più, rimangono incollati davanti a una partita che dura ore. E che viene giocata spesso con rituali ripetitivi che sembrano estenuanti.

Scambi lunghissimi di colpi tra i giocatori, cambi di campo che sembrano liturgie al rallentatore, come quella delle bottigliette che il fabolous Rafa Nadal allinea millimetricamente una vicina all’altra davanti alla sua panchina prima di riprendere a giocare.

Come quelle dell’asciugamano con cui detergersi dopo ogni scambio. Come quelle della pallina di far rimbalzare una, due, tre, dieci volte prima di servire e far sperare che succeda qualcosa.

Abbiamo fretta in tutto, nel tennis no. Qui due che scendono in campo magari hanno già deciso che prolungheranno la partita più a lungo possibile, per trovare il fondo la chance della vittoria, magari con un avversario più quotato, preso per stanchezza o deconcentrazione.

Perché piace così tanto estenuarsi a guardare partite estenuanti?

Jacopo Lo Monaco, il precisissimo telecronista di Eurosport Sky, esperto di tanti sport ha spiegato in una intervista che il tennis prende così perché in fondo è uno sport giusto, che non sbaglia il giudizio finale e la gente vuole finalmente vedere qualcosa di giusto, davanti a tante mistificazioni sportive e non.

E poi è uno sport che si gioca uno contro uno, lo schema che va avanti dall’età della pietra….

Se poi ci mette uno come Sinner, che non sbaglia un battito di ciglia e che oggi è in cima a quello sport con il trhilling, però, di scendere un po’ o di risalire molto fino in cima, fino al numero uno conclamato dalle sacre classifiche mondiali e della consacrazione eterna, allora tutto ruota intorno a questo.

Osservi altre partite, magari di suoi contendenti in quella superclassifica, ma sai che il risultato influirà anche su di lui, sul suo percorso. E allora segui, aspettando la conclusione o anche solo i colpi migliori che poi seguono gli errori inevitabili e calcoli quello che potrà succedere.

Magari ti annoi, ma sai anche che anche nel momento più apparentemente inutile si sta preparando la fase nella quale la partita svolta e magari Sinner vince e capovolge la partita. Un colpo solo, magico.

E’ in fondo la magia dell’imprevisto, che può scatenare il guizzo che cambia tutto.

E così il ragazzo rosso Sinner scatena a sua volta la passione per uno sport sempre un po’ semipopolare, ma affascinante, passato dai “gesti bianchi” del suo massimo cantore, Gianni Clerici il giornalista scrittore, ex giocatore, che ne nobilitò il racconto, come Gianni Brera fece con il calcio e altri “grandi” con il ciclismo di Coppi e Bartali, al color carota del ragazzo dolomitico per il quale anche il presidente Sergio Mattarella resta ore davanti alla Tv e esprime giudizi da esperto.
 
 
 
 
 
 

Published by
Franco Manzitti