Contro Urbano Cairo, Tuttosport prosegue la polemica. Marco Bonetto è andato a intervistare il figlio di Giuseppe Navone, che del Torino fu vice presidente negli anni gloriosi di Orfeo Pianelli.
Giorgio Navone, scrive Bonetto, ci attende seduto nel suo ufficio. Alle spalle, una bella fotografia del padre e alcuni vecchi articoli di giornale a lui dedicati. Giuseppe Navone, fondatore dell’omonima impresa edile, è stato vicepresidente del Torino per 17 anni dal 1962 al 1979.
La storia gloriosa del Torino a cavallo della seconda guerra mondiale è segnata dalla tragedia di Superga, avvenuta il 4 maggio 1949, quando l’aereo che trasportava l’intera squadra, di ritorno da una amichevole con il Benfica giocata a Lisbona, andò a infrangersi contro il muraglione posteriore della basilica di Superga. Oltre all’intera squadra, titolari e riserve, morirono anche due dirigenti (Agnisetta e Civalleri), i tecnici Egri Erbstein e Leslie Lievesley, il massaggiatore Cortina, il pilota Pierluigi Meroni con il suo equipaggio e tre giornalisti al seguito: Luigi Cavallero (La Stampa), Renato Tosatti (Gazzetta del Popolo) e Renato Casalbore (Tuttosport).
Il Torino dopo Superga
Seguirono anni di sconforto e poi la ripresa con Orfeo Pianelli, che già da tempo faceva parte della società granata, e fu poi eletto alla guida del club nel febbraio del ‘63. Rimase al comando fino al 1982. Nanni Traversa, scomparso prematuramente, e Giuseppe Navone furono le prime colonne di Orfeo insieme con il segretario generale Beppe Bonetto, in quei due decenni di rilancio del Torino sino alla conquista dello scudetto del ‘76, dopo due Coppe Italia.
“Ma non è questione solo di trionfi. Quel Torino era un concentrato di sentimenti, prima di tutto”, attacca Giorgio Navone con la ben nota vitalità a 77 anni suonati.
Con Navone si snoda una lunga chiacchierata tra ricordi famigliari e giudizi sul presente. “Io critico duramente Cairo perché il fallimento del suo progetto sportivo è sotto gli occhi di tutti. Non ha seminato quasi nulla, non ha creato le basi per un ambizioso rilancio della società e sotto molti aspetti ha reciso i legami con la storia. Spero che lasci, che abbia finalmente compreso che il suo ciclo si è definitivamente insterilito”.
Gli errori di Urbano Cairo
Quale è stato il primo errore commesso da Cairo?
“Al di là dei valori dei giocatori in campo, anche molto differenti tra loro nei vari decenni, il nostro club è sempre stato un concentrato innanzi tutto di sentimenti. Tutti i presidenti… persino ben prima di Ferruccio Novo… e poi via via fino a Pianelli e anche dopo… erano sempre circondati da un gruppo di consiglieri in parte scelti, in parte ereditati. Professionisti in campi diversi, imprenditori, alti dirigenti”.
“Personaggi come mio padre e Nanni Traversa davano consigli e pareri al presidente sulla gestione e sulle scelte da compiere, li aiutavano non solo economicamente e anche loro in qualche modo seminavano i valori del Toro nella squadra e nella società civile. Papà ricordava sempre con orgoglio le discese nello spogliatoio nell’intervallo delle partite al fianco di Pianeli per spronare la squadra, specialmente nei derby. E i giocatori Anni 60 e 70 ancor oggi si ricordano di quei momenti così forti, così veri, così da Toro”.
“Il primo errore di Cairo è stato proprio questo: aver fatto tabula rasa di quei legami, di quella lunga storia fatta anche di famiglie che si tramandavano l’amore per il Toro e che mantenevano rapporti solidi con il mondo della tifoseria. Questo era il Torino, decennio dopo decennio. Lui fin da subito ha scelto invece di essere un uomo solo al comando, senza aprire la società ad altri imprenditori, professionisti, soci, che avrebbero potuto aiutarlo a sbagliare meno e a mantenere un radicamento cittadino, un tessuto sociale, un’identità di tradizioni”.
“Cairo non hA mai dato un valore a questi… valori: lo dimostrano le sue scelte così povere di ambizioni. Parlo di struttura societaria, di punti di riferimento. Oggi il Torino Fc di Cairo sembra quasi un corpo estraneo. E lui, a Milano, da uomo solo al comando, senza avere al fianco un tessuto sociale profondamente granata, mi pare soprattutto lontano, lontanissimo dagli umori, dai sentimenti della gente. Raccoglie ciò che ha seminato, dopo 19 anni”.
O meglio: “Raccoglie soprattutto ciò che non ha seminato. Il suo è un Toro del “non”, purtroppo per noi tifosi”.