Qualche giorno fa, raccontano le cronache, 106 calciatrici professioniste di 24 Paesi diversi (tra cui anche alcune italiane) hanno scritto una lettera aperta al presidente della FIFA, Gianni Infantino, chiedendo l’annullamento di un accordo di partnership stretto sei mesi fa tra la federazione calcistica e Aramco, un colosso energetico di proprietà dell’Arabia Saudita.
Nella lettera firmata dalle calciatrici, si legge che “le autorità saudite spendono miliardi in sponsorizzazioni sportive per cercare di distogliere l’attenzione dalla brutale reputazione del regime in materia di diritti umani, ma il trattamento riservato alle donne parla da sé”.
Insomma, le 106 calciatrici hanno puntato il dito contro la FIFA che continua ad accettare finanziamenti da Paesi come l’Arabia Saudita, non proprio il modello di una democrazia compiuta. Il tutto, tra l’altro, è avvenuto mentre proprio da quelle parti si svolgeva un torneo di tennis con le più grandi star mondiali. Torneo, si è letto in giro, con il montepremi più alto di sempre: 6 milioni di dollari in palio per il vincitore. E indovinate chi ha vinto il torneo? Un italiano, Jannik Sinner. Con tanto di grandi titoli ed elogi vari qui e là. Qualcuno, in quei giorni, ha parlato di diritti umani? Più o meno nessuno. E che sarà mai.
Tra l’altro, in passato, un ex presidente del Consiglio italiano è stato proprio in Arabia per tenere conferenze e celebrare la monarchia saudita, e un italiano (per qualche milioncino) ha anche allenato la Nazionale saudita per qualche tempo. Del resto, in Qatar, un altro Paese modello sui diritti, si è anche organizzato un Mondiale di calcio. Addirittura, per giocarlo lì, si è anche stravolto per la prima volta il calendario calcistico. Quindi, figuriamoci.
E sempre in Arabia Saudita poi, tra qualche mese, si giocherà (di nuovo) la Supercoppa italiana, che negli anni ha cambiato format proprio per guadagnare qualche centesimo in più. E chissà, forse tra qualche anno ci giocheremo anche qualche partita di Serie A. Magari tra qualche decennio venderemo ai sauditi persino i calzini usati, pur di raccogliere qualche petrol dollaro. Tanto che, ormai, faremmo prima a chiamarla Supercoppa d’Arabia.
Insomma, dei diritti umani non è mai fregato e non frega più o meno a nessuno nel mondo del calcio e dello sport in generale. La morale comune è sempre stata e continua ad essere sempre la stessa: pecunia non olet, i soldi non puzzano. In tutto questo menefreghismo sparso, va quindi sottolineata l’iniziativa di queste 106 calciatrici. Chissà se i colleghi del calcio maschile mostreranno, presto o tardi, anche solo un centesimo del loro coraggio.
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