Luciano Moggi: "Gianni Agnelli? Quella volta che gli attaccai il telefono in faccia..." Luciano Moggi: "Gianni Agnelli? Quella volta che gli attaccai il telefono in faccia..."

Luciano Moggi: “Gianni Agnelli? Quella volta che gli attaccai il telefono in faccia…”

Luciano Moggi: "Gianni Agnelli? Quella volta che gli attaccai il telefono in faccia..."
Luciano Moggi: “Gianni Agnelli? Quella volta che gli attaccai il telefono in faccia…”

ROMA – Il documentario su Gianni Agnelli arriva su Netflix e Luciano Moggi, che lo ha conosciuto bene durante il suo periodo di gestione della Juventus, si è detto commosso. Le immagini e i luoghi da lui frequentati per tanto tempo, scrive Moggi su Libero quotidiano, sono tornai nella sua mente guardando il documentario e anche episodi di cui l’avvocato Agnelli è stato protagonista con lui.

Un articolo che sembra quasi una lettera a Gianni Agnelli, in cui Luciano Moggi ripercorre aneddoti e racconta l’uomo che ha conosciuto, come scrive su Libero quotidiano:

“Quelle immagini, quei luoghi per lungo tempo frequentati, le stesse persone apparse nel filmato, mi hanno riportato ai dodici anni passati in bianconero e non provo vergogna a dire di non essere riuscito a trattenere qualche lacrima. Due uomini immensamente grandi, sia lui che il fratello, il dottor Umberto. In ogni sua manifestazione, l’Avvocato era puro carisma: le sue parole non suonavano mai come un ordine ma erano suadenti come se lo fossero, avere l’onore e anche il piacere di colloquiare con un simile personaggio dava la carica e il coraggio per affrontare le stranezze che la vita riserva in ogni momento. Nei suoi colloqui non esisteva mai il verbo “devi”, al suo posto c’era sempre «Che ne dice?». E l’interlocutore capiva che qualcosa doveva cambiare.

Proteggeva come pochi i propri dipendenti: al tempo di Tangentopoli dissuase con poche parole quanti inveivano e chiedevano il licenziamento per alcuni personaggi Fiat coinvolti nello scandalo: «Difenderò i miei uomini fino all’ultimo grado di giudizio». Comportamento da uomo vero, sconosciuto ai più, specialmente di questi tempi”.

Tra i due, scrive Moggi, nacque un ottimo feeling tanto che Agnelli lo chiamava ogni mattina intorno alle sei per parlare delle notizie:

“Nei primi tempi in bianconero potevano sorgere anche delle incomprensioni fra noi a causa della mia poca conoscenza dell’ambiente, ma l’Avvocato, da gran signore quale era, ha sempre capito la buona fede. Come quando, andato a New York per un intervento chirurgico, mi fece chiamare più volte dal centralino della Fiat : «È Casa Agnelli, l’Avvocato vorrebbe parlare con lei». Io, pensando che fosse un amico di Cuneo che lo sapeva imitare alla perfezione, non risposi mai, addirittura riattaccando il telefono, perché pensavo che Agnelli, essendo in America, non avesse tempo di pensare a me. E mi sbagliavo.

Quando tornò in Italia, parlando con il fratello Umberto, si limitò a dirgli: «Però che strano tipo quel Moggi, gli ho telefonato più volte e lui mi ha sempre riattaccato». Chiarito l’equivoco, grandi risate e avanti con il lavoro. D’altra parte il motto di famiglia era «fino a quando il lavoro diverte la fatica non si sente» e noi stavamo interpretando la massima alla perfezione.

Il giorno del chiarimento fu un piacere immenso, pari però al dolore provato qualche giorno prima della sua dipartita, quando chiamò me e Lippi a casa sua. Parlammo per un’ora, argomento Juve e, nel congedarci, usò poche parole che ci lasciarono però di pietra: «Chissà se potrò rivedervi». Non le potrò mai dimenticare”.

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