Il nuovo Mourinho si chiama Villas Boas, è biondo e non perde una partita

E se avesse ragione lui? «Non sono il clone di nessuno» ripete André Villas Boas. Dove «nessuno» è ovviamente José Mourinho. Di certo – scrive Paolo Tomaselli sul Corriere della Sera in edicola oggi – l’ex assistente tattico dello Special One ha dimostrato, a 33 anni, di poter camminare da solo.

Anzi, per la verità sta già correndo: dopo il 5-0 di domenica contro il Benfica, il suo Porto (che ha vinto la Supercoppa sempre contro i campioni in carica) viaggia con dieci punti di vantaggio dopo dieci giornate, nelle quali ha vinto nove volte e pareggiato solo con il Vitoria Guimaraes, segnando 25 gol e subendone appena 4.

In Europa League, tre successi e un pari con il Besiktas, valgono il primo posto nel girone L.

Per uno che non ha mai fatto il calciatore e in carriera si era seduto solo 23 volte in panchina, con l’Academica Coimbra presa all’ultimo posto e salvata all’undicesimo (con annessa semifinale di Coppa di Lega), non è male.

Tredici mesi fa Villas Boas lasciava l’Inter con la benedizione di don José e ora cerca di esserne all’altezza come comunicatore, alimentando a ogni partita una convinzione già piuttosto radicata negli osservatori più attenti: tatticamente il lavoro del Mourinho biondo è più sofisticato rispetto all’originale, sia come preparazione (basata su uno studio maniacale di ogni singolo avversario) che come resa sul campo, con un 4-3-3 solido, ma anche più votato al gioco d’attacco.

Certo – scrive sempre Tomaselli – il Portogallo e il suo campionato potrebbero sembrare un laboratorio ideale per un apprendista. Però Villas Boas è arrivato al Porto dopo la peggiore stagione degli ultimi dieci anni (terzo posto) e ha già un vantaggio record sulle seconde, dopo aver inflitto all’odiato Benfica la terza peggiore sconfitta della storia.

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