Per Urbano Cairo non sarà un gran bel Natale. Anche se lui vanta mezzo milione di abbonati digitali che finora non trovano riscontro nei conti aziendali né negli istituti che rilevano le letture dei giornali, gli guastano la festa i tifosi del Torino, sua squadra del cuore dai tempi della adolescenza al San Giuseppe di Torino, di cui ora, nella imitazione di San Silvio Berlusconi, è proprietario e presidente.
La contestazione è arrivata al punto che Cairo sabato 21 dicembre è stato costretto a scappare da una uscita secondaria, dopo la sconfitta in casa ad opera del Bologna. “La rabbia nei confronti del presidente diventa sempre più forte ma Cairo minimizza” scrive Gerry Capasso su Virgilio notizie: Torino, la durissima contestazione dei tifosi: Cairo costretto a scappare da un’uscita secondaria, Vanoli sempre a rischio. Ancora una sconfitta per la formazione granata che cede in casa contro il Bologna e la rabbia nei confronti del presidente diventa sempre più forte. Cairo minimizza: “Quel gol non devi mai prenderlo”.
I rapporti tra Cairo e la tifoseria del Torino sono ormai a minimi termini, scrive Gerry Capasso.Il presidente è sempre di più nel mirino dei tifosi che anche dopo la sconfitta con il Bologna hanno contestato pesantemente il presidente reputato il colpevole numero uno di una stagione che fino a questo momento è stata decisamente avara di risultati.
Una sconfitta in casa che non fa altro che rendere ancora più calda una situazione che era già bollente. I tifosi del Torino contestano da tempo il presidente Urbano Cairo, che a differenza di altre occasioni recenti, ha deciso di assistere alla gara con il Bologna. Scelta però poco fortunata perché i granata hanno rimediato un’altra sconfitta, l’ottava della stagione e nelle ultime 5 giornate è arrivata solo una vittoria coN una classifica che al momento li vede in 11esima posizione.
Dopo il match Cairo non ha lasciato immediatamente lo stadio, intorno all’Olimpico si sono radunati centinaia di tifosi del Torino che hanno cominciato la loro contestazione al grido di “Cairo vattene”. Il presidente per evitare rischi di ordine pubblico ha aspettato qualche minuto e ha lasciato lo stadio solo intorno alle 17.45 e da un’uscita secondaria: “E’ stata una buona partita, purtroppo quel gol al 70’ non devi mai prenderlo”.
La contestazione dei tifosi è stata alimentata nel corso della stagione anche dalle possibili voci di una cessione della società da parte di Cairo. Il presidente ha smentito più volte l’idea di un interessamento della Red Bull che al momento rimane soltanto lo sponsor del club e non sembra intenzionato a fare un’altra forma di investimento. Ma nonostante le smentite, nelle parole di Cairo è stata evidente una certa stanchezza per il mondo del calcio e per le difficoltà che sta affrontando.
Descrive la scena Marco Bonetto su Tuttosport.”
Immaginate 400, 500 tifosi pigiati uno sull’altro a formare una testuggine umana in faccia a un
cordone di sicurezza creato per tempo dalla polizia in assetto anti-guerriglia, scudi, caschi e manganelli. La partita doveva ancora terminare quando fuori dallo stadio è andato in scena quell’altro incontro a distanza ravvicinata (in ogni caso “pacifico”, se così si può dire) all’angolo tra corso Agnelli e via Filadelfia.
Un’oretta o poco meno: i tifosi di qui e i poliziotti di là, gli uni di fronte agli altri. Cori, mani e pugni levati al cielo. Cori contro Cairo, come sempre duri, durissimi: del tutto simili a quelli ascoltati a ripetizione durante la partita, così come in tutte queste lunghissime settimane da quando la contestazione è riesplosa a fine agosto.
E il presidente? Chiuso nella pancia dello stadio, con la scorta pronta. Sigillato nella sua automobile, l’avrebbero poi fatto uscire in fretta e furia dal passo carrabile che si affaccia a metà di quel tratto di via Filadelfi a che costeggia la curva Primavera.
Con direzione naturalmente opposta rispetto all’assembramento di tifosi (molti del gruppo Torino Hooligans, è parso di capire) e al cordone della polizia: verso corso Unione Sovietica, per intenderci.
A quel punto, la partita era terminata da tre quarti d’ora o giù di lì. E così, poco dopo, la gente ha rotto l’assedio, evidentemente avvisata dell’uscita di scena di Cairo. Ed è stato tutto un girare le spalle, un rompete le righe. Testuggine aperta. E cordone di sicurezza poi sciolto,di conseguenza.
La protesta si era già materializzato in curva Maratona dopo il secondo gol del Bologna. Mancava una
decina di minuti alla fine quando i vari gruppi organizzati hanno detto basta: anche all’anti-spettacolo dei giocatori in campo, certo (partita segnata e sconfi tta maturata, a quel punto).
Ma l’obiettivo della protesta era e restava sempre e solo lui, Urbano Cairo, con decine di canti per insultare il presidente granata. Mandandolo a quel paese, come sempre. E invitandolo a compiere l’unico gesto che ormai la stragrande maggioranza dei tifosi agogna da settimane, mesi.
Un solo slogan: «Vendi!».
L’anima di una squadra di calcio, commenta Guido Vaciago sempre su Tuttosport, è intessuta solo delle anime dei tifosi veri, perché loro sono sempre lì e non cambiano mai, al contrario di giocatori, allenatori e dirigenti che, giocoforza, sono di passaggio. Passaggio che può essere lungo o meno, glorioso o meno, ma resta un passaggio.
Ecco, quello che sta accadendo al Toro è un fenomeno metafisico in cui l’anima si sta staccando, o forse sarebbe meglio dire, si è staccata dal corpo, inteso come società (con annessi e connessi). E ne è rappresentazione plastica la ultima contestazione di una serie che si allunga dall’estate, in un modo che solo un ossimoro può descrivere (e ciò è molto granata): furiosamente composto.
Perché l’insoddisfazione del popolo del Toro ha rotto gli argini anche dei più pazienti e il desiderio di voltare pagina è diventato necessità impellente, ma non c’è violenza o disordine nell’esprimere questa necessità. Riecheggia amara la delusione di anni di promesse non mantenute e della sensibilità poco granata del presidente.
Quindi, tornando al punto iniziale, nessuno può imporre a Cairo di vendere il Torino, anche se ama il Torino più di Cairo. Però, mentre la squadra sta naufragando, neanche troppo lentamente (8 sconftte nelle ultime 12 giornate con una media punti, 0.6, da ultimo posto a maggio) e il popolo esprime il suo scontento, viene da chiedersi se tutto questo abbia ancora senso. Ovvero perché un imprenditore di indiscutibile successo negli altri campi dove opera debba sottoporsi a questa gogna di fiaschi sportivi, disastri di immagine e odiose ripercussioni sul piano personale (come uscire scortato dallo stadio).
Tutto ciò mentre continua a esasperarsi il rapporto con i tifosi del Torino, per i quali non sembra esserci altro sbocco che la separazione. In questi casi non basta un buon avvocato divorzista; per vendere il Torino, c’è bisogno di un compratore che soddisfi economicamente Cairo (quello che Cairo stesso afferma non essersi mai presentato con sufficiente serietà e non è proprio un dettaglio), ma oltre all’aspetto economico, resta quello morale e sentimentale che partorisce la domanda: ha ancora senso tutto questo? si chiede in conclusione Guido Vaciago.