ROMA – Una edizione della Champions League storica: per la prima volta un derby cittadino deciderà assegnerà la ‘coppa dalle grandi orecchie’. Real Madrid ed Atletico Madrid, le due formazioni della capitale spagnola, si contenderanno il trofeo più importante d’Europa il prossimo 24 maggio allo stadio Da Luz di Lisbona.
L’impresa di queste due squadre è celebrata da La Gazzetta dello Sport in un articolo a firma di Paolo Condò. Riportiamolo di seguito.
“Nell’intento di rasserenare un ambiente portato all’elettricità, Carlo Ancelotti ripete da inizio stagione che «per il Real la Decima non è un’ossessione ma un sogno».
Sarà anche vero, ma pensate un po’ a cosa possa valere allora la Prima per Diego Simeone e il suo Atletico. La parola sottintesa è Champions, quella che invece va declamata con rispetto (e invidia) è Impresa: l’ha realizzata Madrid, un derby cittadino in finale non s’era mai visto.
Ancelotti non lo dirà mai, ma in cuor suo è felice di non dover affrontare Mourinho a Lisbona: troppo fresco e polemico il ricordo lasciato da Mou nello spogliatoio del Real, e troppo grande la sua abilità provocatoria per non pensare che nei 24 giorni di attesa qualche siluro dialettico non avrebbe colpito Ronaldo, Casillas e gli altri felicissimi orfani del portoghese. Molto meglio il Cholo Simeone e gli sfottò stracittadini, anche se l’enorme prestazione di ieri a Stamford Bridge ha tolto ogni residuo dubbio sul valore collettivo dell’Atletico.
Sarà una finale di vendette? Le due squadre di Madrid si sono fronteggiate in Liga con una vittoria di Simeone e un pareggio, ed è esattamente questo bilancio a tenere i colchoneros davanti nel duello interno: a tre gare dal capolinea, per loro è quasi fatta.
In Coppa del Re, invece, ha vinto due volte Ancelotti. La vera vendetta possibile dista 14 anni e riguarda il colpo di testa col quale Simeone, anima della Lazio, guidò i suoi a un pesce d’aprile (era l’1 aprile del 2000) che ebbe effetti devastanti sulla Juve di Ancelotti: le distanze si ridussero a tre punti, innescando lo choccante finale del nubifragio di Perugia, con la Lazio campione d’Italia.
Come la maneggeranno? L’ultimo giorno, quando il ticchettio delle lancette dell’orologio diventa un rumore infernale nel cervello dei meno coraggiosi, Ancelotti farà la sua mossa.
Prenderà sotto braccio un campione – imbarazzo della scelta, ne ha così tanti… – e gli chiederà di curare un avversario, uno spazio, uno spicchio di match. In semifinale l’ha fatto sia all’andata che al ritorno, proponendo a Di Maria prima e Bale poi di coprire la fascia destra con la puntigliosità del 4-4-2 anziché la leggerezza del 4-3-3.
Ancelotti propone, non ordina. Propone perché sa parlare ai campioni dai tempi in cui comandava con Baresi lo spogliatoio del Milan grandissimo, quello in cui c’erano Gullit, Van Basten, Rijkaard, il giovane Maldini e tanti altri giocatori magnifici. C’erano, intervenivano, ma quando parlava Carletto ascoltavano.
Simeone ha un altro approccio, e ieri l’avete visto. Mentre Carletto dopo ogni gol dei suoi dà il cinque al marcatore, il Cholo va allo scontro petto contro petto, più virile ed empatico, gladiatorio. Prima di salire sul pullman Simeone riunirà i suoi uomini per dire più o meno questo:
«Vi do la mia energia, a voi decidere se usarla oppure no. Non concepisco che possiate fare qualcosa di meno di quello che avete saputo fare tutto l’anno: non siete persone false, non siete degli opportunisti, siete degli uomini e come tali intendo trattarvi». E a chi ancora parla poco lo spagnolo, come lo ieratico Arda Turan, dedicherà un solo lungo sguardo. «Ci intendiamo a pelle, senza bisogno di parole. Avverto la grandezza del suo cuore”.
Come giocheranno? Il 4-4-2 di Ancelotti asseconda la teoria dell’eterno ritorno, perché come si sa è il modulo che copre meglio il campo e consente una varietà di arrangiamenti pressoché infinita.
È la disposizione appresa da Sacchi, il suo maestro tattico (quello umano fu Liedholm): evoluta col tratto personale dell’albero di Natale (4-3-2-1), ma sempre rimasta lì, a disposizione dei momenti più delicati. In finale Ancelotti potrà tornare, almeno sulla carta, a recitare il ruolo di amante del calcio offensivo: fatalmente, l’Atletico lo aspetterà per non alimentare con lo spazio – e dunque l’ossigeno – le incendiarie volate di Cristiano e Bale.
C’è qualcosa di grottesco nella parte di alfiere del contropiede recitata da Carletto in semifinale, in opposizione all’«olandese» Guardiola.
Discepolo di Sacchi, per quanto non integralista, Ancelotti ha sempre allestito squadre ricche di piedi buoni e votate alla costruzione: al Milan, al Chelsea, a Parigi e ora a Madrid.
Nel gioco delle parti di questo stucchevole dibattito sulle sorti del tiqui-taca – se sia morto, ferito gravemente o solo costipato – Ancelotti s’è ritrovato addirittura a difendere le ragioni del catenaccio, che è quanto di più lontano esista dal suo modo di interpretare il calcio.
Simeone cercherà di indovinare le sue finestre di partita, come ha fatto ieri sera, quando ha lanciato l’Atletico in avanti nel momento in cui si aspettava lo sforzo estremo del Chelsea. Sarà una grande finale”.