Saluto fascista allo stadio non è reato: per i giudici è provocazione, non propaganda

di redazione Blitz
Pubblicato il 18 Aprile 2015 - 19:04| Aggiornato il 19 Aprile 2015 OLTRE 6 MESI FA
Saluto fascista allo stadio non è reato: è una provocazione, non propaganda

Tribunale

ROMA – Assolti a Livorno quattro ultrà del Verona che nel 2011 fecero il gesto del saluto fascista all’ingresso dello stadio. Le motivazioni della sentenza spiegano che non si tratta di “nessuna minaccia allo Stato. Alle manifestazioni sportive non si fa proselitismo”. Ne parla La Repubblica con Gerardo Adinolfi in un articolo che riportiamo di seguito:

Il saluto romano fascista allo stadio non è reato. Si tratta soltanto di una “pessima provocazione rivolta verso gli avversari” e non di un’azione di propaganda politica perché una manifestazione sportiva “non è normalmente il luogo deputato a fare opera di proselitismo”. A stabilirlo è una sentenza del Tribunale di Livorno che ha assolto, perché “il fatto non costituisce reato”, quattro ultrà del Verona che il 3 dicembre 2011 durante la partita di Serie B contro il Livorno furono ripresi dalle telecamere mentre facevano il saluto fascista all’ingresso dello stadio Picchi. La sentenza di assoluzione è dello scorso 6 marzo, il 1 aprile il giudice Angelo Perrone ha depositato le motivazioni, come riporta il quotidiano Il Tirreno.

Il giudice ha così assolto Giovanni Andreis, 23 anni, Andrea Morando, 38, Federico Ederle, 45 e Sebastiano Zamboni, 25, ultrà scaligeri. “Gli imputati – si legge nelle motivazioni – sono certamente tra coloro che hanno compiuto quel gesto”. La questione, scrive il giudice, è quella di valutare ” se da un punto di vista giuridico i fatti come descritti e provati integrano i presupposti necessari alla configurazione della fattispecie contestata”. E cioè del reato dell’art 2 d.l 122/93 che sanziona gesti e “manifestazioni esteriori che incitano alla discriminazione o alla violenza per scopi razziali, etnici, nazionali o religiosi (quali certamente il partito fascista)”. Nelle motivazioni della sentenza il giudice analizza così il contesto della Legge Scelba e Mancino.

Affinché ci sia reato, spiega il giudice, è “imprescindibile che il comportamento censurato determini un pericolo concreto e attuale riproposizione di quei movimenti in tutte le sue forme: proselitismo, propaganda, adesione politica, riorganizzazione”. E cioè “non è il gesto in sè ad essere punito ma la sua attitudine alla diffusione e alla pubblicizzazione di idee discriminatorie e violente”.

E nel caso del saluto romani degli ultrà del Livorno il proselitismo non sussiste, ma si tratta soltanto di una “pessima provocazione rivolta verso gli avversari”. E il giudice ne spiega i motivi. Innanzitutto perché è stato fatto durante una manifestazione sportiva, che a differenza di un corteo politico “non è il luogo deputato a fare opera di proselitismo”. “La manifestazione sportiva ha proprie connotazioni e propri scopi – scrive Perrone – anche se non si pul escludere a priori che possa essere stata strumentalizzata ad altri fini. Tuttavia in questo caso si è trattato di gesti a margine dell’incontro di calcio, e appunto collaterali all’evento”.

Come seconda motivazione il giudice analizza il luogo dell’esibizione: “si trattava di un gesto fatto da un gruppo di ultras di tifosi in trasferta nei riguardi dei tifosi della squadra di casa”. Una minoranza numerica, dunque, contro “una stragrande maggioranza di tifosi di opposto orientamento sia per essere sportivamente avversari del Verona sia per essere appartenuti ad una città come Livorno storicamente caratterizzata dalle sue radici antifasciste e specificatamente di tradizione comunista”. Una sproporzione numerica che classifica il gesto solo come provocazione.

L’ultimo elemento è infine la distanza temporale dal periodo fascista: “Il tentativo di proselitismo – scirve il giudice – per mettere in pericolo una democrazia rinsaldata dall’esperienza di anni deve necessariamente avere caratteristiche più consistenti di quelle che si potevano immaginare (e temere) alla nascita dello Stato in condizioni oggettivamente più precarie”. La Procura di Livorno, ora, dovrà decidere se fare ricorso.