Sampdoria. Dal “vaffa” di Cassano alla serie B

di Franco Manzitti
Pubblicato il 16 Maggio 2011 - 11:17 OLTRE 6 MESI FA

È cominciato tutto in un grigio pomeriggio di ottobre sulla ridente collina a Bogliasco, dove la Sampdoria ha i suoi campi di allenamento, a due chilometri dal mare in una valletta verde che si raggiunge con una strada stretta in salita e che ai tempi gloriosi del superpresidente Paolo Mantovani, quello dello scudetto, lui uomo dall’aplomb gelido, nei momenti di trionfo, percorreva trionfalmente sul sellino posteriore di una Vespa. Si faceva portare lassù, dove si suoi ragazzi da sogno calcistico Roberto Mancini, oggi trionfatore con il Manchester City della FA inglese, Gianluca Vialli, già allenatore del Chelsea e oggi guru del calcio di Sky nonché Paperon de Paperoni del Calcio mondiale(arriverà lui in cordate arabo inglesi alla Samp?), Tonino Cerezo, il brasiliano geniale e lungo, Attilio Lombardo, il pelato braccio di ferro chiamato Popey per la somiglianza con l’omino forzuto degli spinaci e tanti altri lo aspettavano tra scherzi e supercontratti di ingaggio da firmare.

Come è triste Bogliasco oggi, venti anni esatti dopo lo scudetto ( lo celebrano in lacrime questa settimana), ma come è triste Bogliasco anche soltanto un anno dopo. Oggi la serie B matematica e funeraria (vedi i riti mortiferi dei genoani pronti con tanto di bare e corteo salmodiante a Piazza De Ferrari), 365 giorni fa il quarto posto e l’accesso ai preliminari Champions league, con gli scherzi del monellaccio Cassano e le dita nel naso dell’iradiddio Pazzini, il bomber che impazza all’Inter.

È cominciato tutto lassù, dove Pazzini non c’è più perchè fa gol con l’Inter e Cassano, cacciato dal tempio di Bogliasco, è al Milan con lo scudetto sul petto appena cucito, una pettinatura diversa da bravo ragazzo, tutto liscio all’ indietro, tipo Brillantina Linetti di sessanta anni fa, mentre quando furoreggiava qua sembrava un carciofo, capriccioso e spettinato.

È cominciato tutto in quel pomeriggio di ottobre, quando a Cassano, di luna storta dopo l’allenamento, chiedono di andare a presiedere una festa blucerchiata in un Club del centro città. Lui manda tutti al diavolo.

Non è giornata e allora si muove il presidente Riccardo Garrone, che anche quel pomeriggio è salito a Bogliasco a seguire i suoi ragazzi, poverini, con una sfiga terribile si sono da poco fatti eliminare dai Preliminari della Champions League, perdendo in casa dai tedescacci del Werder Brema.

Stavano vincendo 3 a zero e rimontando la sconfitta dell’andata e si fanno fregare nel recupero due volte. Champions finita e tutti a casa al primo colpo, ma resta il campionato e con quella coppia lì davanti, Cassano il genio folle e Pazzini il Killer della porta, chissà cosa possono ancora fare i bluerchiati?

“Scusa Antonio, mi faresti il piacere di andare a quella festa?”, chiede il presidente, come sempre elegante nel suo soprabito overcoat molto english. Apriti cielo. Antonio sbrocca, sì proprio sbrocca, come gli capita ogni tanto, come sanno bene Fabio Capello, Florentino Perez, Francesco Totti, Del Neri, penultimo allenatore, che lo tenne fuori squadra per sette partite l’anno prima, il prode Mazzarri, terzultimo allenatore, scappato a Napoli anche per le sue risse con il barese e Di Carlo l’allenatore in corso e tanti altri.

Ma non sbrocca da poco, in pieno spogliatoio, davanti a allenatore, assistente allenatore, l’ex genoano Roberto Murgita, compagni, dirigenti e qualche tifoso doc: copre di insulti personali, volgari, irripetibili, il presidente che lo ha riportato agli onori del calcio, non si frena e impazzisce del tutto.

Ecco, la sesta retrocessione nella storia della Samp, società nata nel 1946, incomincia quel giorno lì, quando si straccia la carta velina che separava il presidente Riccardo Garrone, uomo non certo dal carattere facile, imprenditore di primo livello, capitato nel calcio un po’ per generosità, un po’ per caso necessitato, dal ragazzo di Bari Vecchia, quello che si era presentato alla corte di Madrid, nel giorno della presentazione, con un vestito di pelle di pecora ( e poi aveva fatto poche partite, ingrassando di quasi 10 chili e facendo impazzire Capello, l’allenatore e i tifosi madrileni che pure sono di bocca buona in quanto a capricci delle superstar).

Incomincia lì il crack della Samp con il decreto di espulsione di Cassano, il suo esilio di tre mesi a casa, a ingrassare di pasta e dolci, cucinati dalla mamma, accanto alla moglie Carolina Marcialis, campionessa di pallanuoto in dolce attesa della nascita del figlio, mentre la Samp lo cancella, rischiando di perdere decine di milioni di euro, quel marpione di Galliani del Milan fa le sue mosse per catturarlo nel mercato di gennaio e i tifosi della Samp si dividono: è giusta la punizione estrema o si doveva trovare una strada di sopportazione e di attesa, tipo quella che la Fiorentina sta applicando al fedifrago Adrian Mutu, punito dalla Federazione Internazionale per uso di cocaina?

Terribile dilemma, che si consuma un po’ in tutto il calcio italiano, mentre a Genova si consuma lentamente la Sampdoria che in comincia a giocare senza Fantantonio, con Pazzini, il centroavanti-vedovo che sembra sperduto nel deserto.

Si può precipitare dalla vetta del calcio europeo, come la Champions League, al rischio della retrocessione in serie B? Muti e attoniti in un primo tempo i tifosi Samp alla notizia stanno. Non sembra possibile. Ma mentre Cassano più grasso di sette chili, ma con quella sua immutabile faccia da schiaffi approda a Milanello tra Pato e Ibra, la Samp e i suoi dirigenti non ne azzeccano più una.

Il vedovo Pazzini denuncia il suo isolamento. “E ora?, chiede disperato, chi mi manda in gol, chi mi ispira, chi mi spalanca la porta avversaria?”.

Messaggio in codice neppure troppo complicato. Vendetemi. La dirigenza Samp, a sua volta vedova del dirigente Marotta, che ne aveva prodotto il miracolo ( ingaggio di Cassano compreso), passato alla Juve, entra nel marasma, vende all’Inter il Pazzo e non riesce a sostituire le due superstar con giocatori all’altezza. L’Inter regala il misterioso Babiany, che segnerà solo un gol nell’ultima partita inutile della B consacrata contro il Palermo, e ingaggia il povero Maccarone, punta spuntata di tante battaglie sui campi di mezza Italia e Europa. Il nuovo direttore generale, Luciano Cavasin, si dimette per impotenza della società a affrontare l’emergenza.

E, tanto per usare una espressione cara ai tifosi, la Samp precipita come una pietra. Ha anche sostituito l’allenatore, l’onesto Di Carlo, mister di tanti miracoli in provincia, con Cavasin, reduce da un esonero a Bellinzona, non certo una piazza calcistica di prim’ordine. Dicono i maligni che è l’unico allenatore a buon prezzo che ci si può permettere in una situazione di bilancio nella quale la potente famiglia Garrone non vuole esagerare.

Le redini della società, che si avvicina al baratro, sono in mano a un cosiddetto comitato strategico, formato da commercialisti e apprendisti stregoni del calcio che assistono il presidente, appassionato, ma non certo competente di calcio. Mancano nove partire e incomincia il calvario.

E dove culmina il calvario, se non nel derby la madre di tutte le partite e se gira male di tutte le beffe, lo scontro con gli odiati cugini del Genoa, che giocano in tranquillità sotto il regno del joker Enrico Preziosi, uno che a Garrone non le ha certo mandate a dire in questi anni. Partita decente, ma gol all’ultimo minuto di una specie di centroavanti rossoblù Carneade argentino Antonio Boselli, uno che ha giocato quindici minuti in tutto il campionato: gol al sesto minuto del recupero che sancisce la sconfitta della Samp per 2-1 e apre le porte dell’Inferno.

Qualche pezzo di inferno i giocatori lo avevano visto anche prima, per esempio quando di ritorno da una trasferta drammatica i tifosi avevano fatto un agguato al pullmann, spaccando i vetri, minacciando di morte i loro ex beniamini, ma scoprendo che a bordo ce ne erano solo sei. Gli altri già prudentemente in fuga.

Non ha portato bene ai colori blucerchiati il ritiro a Novi, dolce località del Basso Piemonte a prudente distanza da Genova e vicina alla residenza di campagna del presidente, che finalmente ha potuto riincontrarsi con la squadra dopo un problema di salute che lo aveva colpito. Ma era troppo tardi anche per l’ingresso in campo della potente famiglia Garrone, del figlio Edoardo, vicepresidente di Confindustria, uomo di grandi relazioni pubbliche, che è saltato sulla scialuppa quando stava andando a fondo e che ora promette di rifondare tutto e di ripartire da zero.

Domenica sul campo della sconfitta, in fondo al match della retrocessione è rimasto solo Angelo Palombo, il capitano coraggioso che a mani giunte si è inginocchiato davanti a ogni gradinata per chiedere scusa. Ma oramai la frittata era fatta. Da chi? Da Cassano capriccioso? Da Garrone padre-padrone, alla fine magari giustamente severo, dal fantomatico comitato strategico che non ha capito un’acca della tragedia incombente, dalla famiglia per troppo tempo distante, dal destino cinico e baro, dal cinismo dei cugini genoani che non hanno regalato nulla?

Certo a venti anni dallo scudetto storico è ora la città blucerchiata a stare muta e attonita. L’altra città in parte ride sotto i baffi e in parte solidarizza comprensiva ma irritante. Loro, i genoani, di retrocessioni si che se ne intendono. E sanno che con la B di oggi risalire è dura.