Serie A, Roma e Lazio: Il ritiro serve davvero per scacciare la crisi?

Roma non è più la capitale del calcio italiano. Era dal 2000 che, tra alti e bassi, le romane respiravano aria d’alta classifica.

Basti pensare allo scudetto della Lazio nel 2000, o a quello della Roma nel 2001.

In questo decennio non sono mancate le gratificazioni anche nelle Coppe:

Lazio e Roma hanno conquistato Coppa Italia e Supercoppa Italiana.

I giallorossi sono indicati dai bookmakers come i favoriti per la conquista finale dell’Europa League per via dei risultati egregi conquistati nelle passate edizioni di Champions League.

La Roma di Spalletti ha sfiorato per ben due volte la qualificazione alle semifinali del torneo più prestigioso d’Europa. In entrambe le occasioni il “killer” dei capitolini è stato il Manchester United di Sir Alex Ferguson.

Il massimo risultato europeo della Lazio di Lotito è stato il girone di Champions League. I tifosi biancocelesti si sono goduti anche un 2-2 all’Olimpico contro il Real Madrid. In quell’occasione brillò la stella del “dissidente” Pandev, autore di una splendida doppietta.

Il decennio di gloria è ufficialmente volto al termine. I segnali sono chiari, i motivi sono lampanti. Roma e Lazio, con differenze sostanziali, non sono più due potenze dal punto di vista economico.

I tifosi in questi anni stanno assistendo ad un autentico ridimensionamento. Ridimensionamento fa rima con autofinanziamento! Entrambe le formazioni, alla luce delle deludenti stagioni passate, avevano bisogno di essere rafforzate in ogni zona del campo. Così non è stato.

La Roma si è presentata ai suoi sin troppo pazienti tifosi con Guberti, titolare non per meriti personali ma per assenza di concorrenza, Zamblera, ottimo giocatore per la primavera, Lobont, in un quarto d’ora in campo ha ricordato il miglior Artur, e il prestito di Nicolas Burdisso.

La Lazio ha acquistato a parametro zero Julio Ricardo Cruz, utile alla causa ma pur sempre un 36enne, e Eli (all’anagrafe Eliseu) un giocatore illeggibile. Sarebbe un esterno di centrocampo ma, nei pochi minuti in cui viene schierato in campo, provoca scompiglio e disordine nella sua squadra.

Le due squadre fanno sorridere quando parlano di progetto giovani: Cerci, Okaka e Guberti nella Roma, Perpetuini, Mendicino, Faraoni nella Lazio, non sembrano all’altezza della situazione.

I ragazzi giovani vanno inseriti in un contesto di squadra che funziona. Inserirli in una situazione di classifica deficitaria, in una piazza  come Roma, non può far altro che bruciarli.

Nella Roma ragazzi come Guberti e Okaka non godono della fiducia dell’allenatore e dei tifosi eppure giocano per mancanza d’alternative. Vucinic è un fantasma e gradualmente verrà sostituito da Okaka. Fiducia nel giovane bomber italiano? Macchè; semplicemente speranza che possa esplodere all’improvviso.

Il ragionamento è molto semplice: Vucinic non segna e non aiuta la squadra, tanto vale provare ad inserire Okaka che, male che va, non può far peggio del Montenegrino.

Stesso discorso per Guberti: l’ex barese non incide come dovrebbe ma almeno corre! Taddei e Perrotta sono troppo spenti per essere veri quindi tanto vale sperare nel talento di un giovane.

Nessuno si azzarda di mettere in discussione le qualità tecniche di Mirko Vucinic eppure il ragazzo ha seri problemi.

Molti dicono che le sue cattive prestazioni siano dovute ad una condizione fisica deficitaria, in realtà non è solo questo. Il bomber montenegrino ha bisogno di credere nei suoi mezzi, deve crescere notevolmente dal punto di vista della personalità.

Se si vanno ad analizzare le sue reti con la maglia della Roma, la maggior parte sono prodezze istantanee. Il ragazzo soffre i riflettori e per questo fallisce i gol davanti alla porta. Quando tutti si aspettano da lui il gol state certi che puntualmente fallirà.

In occasioni in cui la gente non si aspetta la rete, tiri da 35 metri docet, Vucinic è più sereno e tira fuori dal cilindro il jolly risolutivo. Deve acquisire la mentalità da bomber e non fallire le occasioni da gol agevoli. Deve avere una maturazione simili a quella avuta da Ibrahimovic.

Tornando alla Lazio c’è da dire che i biancocelesti pagano la tripla competizione- Serie A, Europa League e Coppa Italia- ed una rosa eccessivamente corta.

La squadra di Ballardini dispone di 11 titolari di medio/buon livello ma per il resto in panchina c’è il nulla. L’attacco sembra il reparto che dà maggiori garanzie, mentre la difesa è certamente quello peggiore.

Nel pacchetto arretrato nessun giocatore, Kolarov a parte, sembra dare affidabilità. Siviglia è esperto ma limitato, Cribari e Radu commettono errori d’inesperienza e disattenzione, Diakitè è dotato di qualità fisiche notevi ma deve sgrezzarsi.

Lichtsteiner non sembra più il giocatore dello scorso anno. Scaloni è ancora nella rosa della Lazio perchè non sono stati trovati acquirenti per il suo cartellino.

Le tifoserie insorgono ma quella che ha maggiori motivi di protestare è la giallorossa.

Il parco ingaggi della Roma è il quarto della Serie A- dopo Milan, Inter e Juventus– ma la squadra occupa solamente il 14° posto in classifica. Il colpevole? La società.

La colpa non risiede solamente nell’assenza della campagna acquisti, ma nella gestione scellerata dei contratti dei calciatori. Se è vero che non si hanno i soldi a maggior ragione è vero che non si possono offrire contratti del genere a giocatori modesti.

Questa situazione di crisi è dovuta dal fatto che tutti i nodi stanno tornando al pettine. I miracoli dell’autofinanziamento hanno cessato d’esistere. Le due società per sopravvivere devono cercare di superare loro stesse ed ottenere risultati che in questo momento non sono alla loro portata.

Il ritiro come panacea di tutti i mali? Potrebbe essere una soluzione se adottata con la massima serietà e senza scorciatoie ridicole.

Lo scorso anno la Roma ha fatto “ridere i polli” inscenando un ritiro grottesco. Neanche una settimana di “reclusione” per i calciatori. Bastò una vittoria e un dialogo tra Rosella Sensi ed i “capitani” della Roma, Totti e De Rossi, per far cessare il tutto.

Roma e Lazio non sono appetibili per un magnate straniero alla stessa stregua degli altri club di Serie A. Molti i nomi usciti questi anni, nessuna la trattativa andata in porto.

Se non si riesce a vendere un Bari ed un Bologna, che non costano nemmeno 10 milioni di euro, un motivo ci sarà.

Il calcio italiano non facilita l’entrata a capitali esteri. Il sistema economico del paese lo osteggia. Nel nostro movimento calcistico non ci sono stadi di proprietà, ed ottenerli è molto difficile, non ci sono struttura d’allenamento di proprietà delle società, non c’è un sistema fiscale incentivante. Insomma non “passa lo straniero“.

Bisogna prendere atto di quella che è la realtà e cercare di sfruttare al meglio quelle che sono le risorse umane a disposizione. Tra il bastone e la carota in questo momento serve solamente il primo.

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