Mettiamola così: non c’è dubbio che Jannik Sinner sia innocente, ma siccome non c’è nessuna norma antidoping che prevede l’innocenza, allora è colpevole. Il caso Sinner è ormai planetario e il ridicolo accanimento della Wada (Agenzia Mondiale Antidoping, istituita dal Comitato Olimpico Internazionale nel 1999, sede in Canada) è diventato il centro di una controversia mediatica globale.
Se ne sta occupando anche il New York Times, tutt’altro che tenero con l’Agenzia; ne ha smascherato le lacune. Una su tutte? Prima delle Olimpiadi di Parigi lorsignori hanno perso i dati “di almeno 2.000 casi e di oltre 900 risultati di test di atleti accusati di essere positivi al doping”. Di più: l’autorevole quotidiano statunitense ha descritto il caos che ne è seguito “con la quasi certezza che ai Giochi abbiano partecipato atleti che invece andavano squalificati“. Morale della favola: una figuraccia.
La Wada a due velocità
La singolare giustizia applicata negli anni dalla Agenzia di Montreal ha sfornato “perle gaudiose”. Ne ricordiamo una in particolare: i 23 nuotatori cinesi positivi e graziati; sicché hanno partecipato “regolarmente” ai Giochi di Tokyo 2021 dove hanno pure centrato due ori, con buona pace del nostro Martinenghi. Un’altra chicca? Eccola: nel 2019 la Wada si è “dimenticata” di comunicare i nomi degli sportivi coinvolti nella “Operacion Puerto “, uno dei “casi più eclatanti di pianificazione scientifica del doping avvenuta in Spagna”, come ha scritto l’esperto Riccardo Crivelli.
Incongruenze ricorrenti
La domanda che tutti si pongono (quorum ego) è molto semplice: ma è vera giustizia questa? Casi analoghi a quello di Sinner ce ne sono stati tanti; casi in cui la agenzia antidoping non ha fatto appello al Tas. Lo ha fatto solo per l’azzurro. Basti ricordare i casi analoghi del calciatore Palomino e del tennista Bortolotti assolti e la Wada si è guardata bene dal fare appello. La scelta di fare ricorso alla Corte arbitrale contro l’assoluzione di Sinner è stata giudicata una “ follia” da Martina Navratilova, la leggenda del tennis. E anche il nostro Pietrangeli ha definito il tutto “una roba surreale”.
Una pena simbolica
Alla fine del tormentone, cominciato a marzo, il Tas probabilmente sceglierà un verdetto pilatesco: cioè, per non scontentare l’agenzia (che del caso Sinner ne ha fatto un caso simbolo) la sentenza sarà sorprendente: squalifica sì, ma la pena sarà simbolica. Due mesi o giù di lì. Lo dicono in tanti tra cui l’avvocato Salvatore Civale, presidente della associazione avvocati dello sport e nei pool di Uefa e Fifa. Concludendo: Jannik Sinner uscirà da questo pasticciaccio a testa alta. E la Wada?