RAVENNA – “Nessuna paura della morte, è un ritorno a Dio”. Ersilio Tonini, 97 anni, arcivescovo emerito di Ravenna e di Cervia, è stato intervistato da Michele Brambilla per La Stampa. “Dubbi sulla fede? Grazie a Dio non ne ho mai avuti”, risponde il cardinale più vecchio del mondo.
Come racconta Brambilla, Tonini abita in due piccole stanze dell’Opera Santa Teresa del Bambino Gesù, un istituto per malati gravi. Ma non è lì per via dell’età, ci abita dal dicembre del 1975, quando salì sulla cattedra di Sant’Apollinare. Decise subito di lasciare l’appartamento riservato all’arcivescovo, in uno splendido palazzo, a una comunità di recupero per tossicodipendenti e venne qui in quest’Opera Santa Teresa che è considerata il cuore della carità romagnola.
“Ho imparato a non aver paura della morte soprattutto quando sono stato parroco, a Salsomaggiore – racconta – Appena arrivato, una notte mi mandano a chiamare, c’è uno sta che sta morendo e vuole il prete. Ricordo ancora che mestiere faceva: il tassista. Mi dice: reverendo mi aiuti, voglio comparire dinnanzi a Dio con l’anima libera. Nella sua semplicità voleva offrire la propria morte come atto di restituzione della vita avuta in dono da Dio. Andava incontro alla morte con una serenità impensabile. Mi dissi: c’è sempre gente che ci supera, all’infinito, nella fede”.
“Fare il parroco, stare in mezzo alla gente, per me è stata una grande lezione. Mi si è svegliato il senso dello stupore. E mi sono convinto che l’uomo è una meraviglia: davvero si capisce perché nella Bibbia è definito il capolavoro di Dio… Anche nelle persone che credevi più banali alla fine scopri risorse impensabili, un deposito segreto. L’uomo è una creatura tale che non può dissolversi nel nulla”.
Quindi i ricordi: “Ero molto legato a Biagi, insieme girammo i teatri di tutta Italia per parlare dei comandamenti. Era vivace, anche puntiglioso in certi momenti, ma è stato geloso del suo mestiere, e questo per me è un merito. Io credo che il giornalismo abbia un grande compito storico, e credo che lo abbia svolto bene, credo che abbia aiutato questa generazione a essere attenta”.
“Volevo molto bene anche a Montanelli. Quando, nel 1994, lasciò il Giornale, mi fece chiamare. Mi telefonarono: Montanelli ha bisogno di lei. Aveva voluto radunare alcuni amici. Fu un momento molto bello e mi commuovo ancora quando lo ricordo: si riconosceva che questo benedetto mestiere, o mestieraccio, è – volere o no – uno degli elementi decisivi per lo sviluppo della storia. Se il giornalismo è riuscito a diventare non solo un fotografodi quel che accade, ma anche un elemento attivo e positivo della storia, lo si deve anche a uomini come Biagi e Montanelli”.