Cina, la censura ha paura del teatro: ma Pentagon Papers va in scena

Pubblicato il 14 Dicembre 2011 - 00:11 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Anche il teatro fa paura alla censura cinese: in questo Paese le manifestazioni artistiche e culturali sono punteggiate spesso da questi sussulti del potere, da autorizzazioni che arrivano all’ultimo, da autorizzazioni che non arrivano proprio, da censure, da divieti improvvisi e immotivati.

La pièce d’altronde verteva sul rapporto tra potere e stampa e si «prestava« magnificamente a questo tipo di ingerenza pubblica. Come se fosse del metateatro (il teatro nel teatro, come Sei personaggi in cerca di autore), la realtà irrompeva sulla scena trasformandosi anch’essa, nella sua bieca arroganza, in un messaggio teatrale.

Lo spettacolo chiamato «Top Secret. La battaglia per i Pentagon Papers» era in scena nel teatro della prestigiosa Università di Pechino. Scritto da Geoffrey Cowan e Leroy Aarons, il testo racconta la battaglia ingaggiata tra il Pentagono e il quotidiano Washington Post, mentre questo pubblicava nell’estate del 1971 i Pentagon Papers, un dossier segreto sottratto alla Difesa che raccontava vent’anni di politica e guerra americana in Vietnam e soprattutto che svelava tutte le menzogne raccontate dai diversi presidenti americani.

La spina dorsale dell’azione drammatica dello spettacolo consiste nel rapporto tra l’arbitrio del potere e l’azione di controllo esercitata dalla stampa e dall’opinione pubblica. Una delle scene più importanti è quando, dopo che il giornale attaccato dal governo è stato discolpato dal tribunale, un reporter tesse una vibrante lode della libertà di stampa come riparo dalla tirannia.

Nella Cina la libertà di stampa è il nemico numero uno della più grande macchina censoria del mondo. Ed è forse già sorprendente il fatto che lo spettacolo «Pentagon Papers», un inno alla libertà del giornalismo e contro gli abusi del potere, abbia potuto essere visto in Cina, prima a Shangai e Canton, poi nella capitale. Se nelle prime due città tutto è filato liscio, è a Pechino che l’inflessibile macchina burocratica della censura ha infine voluto imporre la sua legge.

Benché organizzato con mesi di anticipo, l’Università di Pechino ha ricevuto l’autorizzazione per lo spettacolo solo un giorno prima della data prevista ed il pubblico è stato ammesso solo per metà della capienza della struttura. Il dibattito annunciato è stato infine annullato mentre mancavano pochi minuti alla conclusione. Il potere, specie quando combatte la libertà di espressione, ha i suoi metodi, arbitrari e sbrigativi e non sempre, come nella pièce, è la libertà che vince.