Scala, 15 minuti di applausi per Lohengrin, Inno di Mameli alla fine

Quindici minuti di applausi per il Lohengrin di Wagner (foto Ansa)

MILANO – E’ iniziata con un piccolo giallo per l’Inno di Mameli che contrariamente alla tradizione non ha aperto la prima della Scala. E’ finita con 15 minuti di applausi che hanno accolto ‘Lohengrin’ al chiudersi del sipario, dopo quasi cinque ore di spettacolo.

La parte del leone l’ha fatta la musica di questa ‘opera romantica’, la più ‘italiana’ fra quelle del compositore tedesco. Grandi applausi infatti a Daniel Barenboim e all’orchestra scaligera ma anche tanti consensi al formidabile coro della Scala diretto da Bruno Casoni, protagonista al pari dei personaggi in scena, che ha entusiasmato l’intera sala del Piermarini al termine dello spettacolo quando, schierato al completo ha intonato l’Inno di Mameli, che è stato cantato da tutti gli spettatori in piedi.

Consensi anche per il regista Claus Guth e l’autore delle scene Christian Schmidt che hanno proposto un Lohengrin fuori dagli schemi della tradizione, ambientando una vicenda della prima metà del decimo secolo in luoghi, architetture e costumi dei tempi di Wagner, a meta’ dell’ Ottocento.

Applausi fragorosi e fiori lanciati dal loggione invece agli interpreti delle due coppie contrapposte che hanno stregato il pubblico dalla prima all’ultima scena: l’una spirituale e pura con Annette Dasch (subentrata all’ ultimo momento alle influenzate Anja Harteros e Ann Petersen nel ruolo di Elsa) e Jonas Kaufmann (Lohengrin); l’altra demoniaca e perversa con Evelyn Herlitzius (Ortrud) e Tomas Tomasson (Telramund). Applausi anche a Rene’ Pape e a Zeljko Lucic.

Uno spettacolo nel complesso molto apprezzato in una serata all’ altezza delle attese del 7 dicembre, a cui hanno partecipato personalità quali il Presidente del Consiglio Mario Monti accompagnato dalla consorte che porta lo stesso nome della protagonista wagneriana; i ministri Corrado Passera, Piero Giarda, Giulio Terzi, la ministra francese della cultura Aurelie Filippetti, la presidente dell’Unione Africana Nikosazana Dlamini-Zuma, la sovrana del Qatar e proprietaria della ‘Maison Valentino’ Sheikha Mozar, oltre ai più noti nomi milanesi da Umberto Veronesi a Cesare Romiti, da Carla Fracci all’architetto Vittorio Gregotti al sindaco Pisapia, sul palco insieme a Monti.

Quello che ha stupito e coinvolto il pubblico è la lettura che il regista Claus Guth ha dato di questo Lohengrin, un personaggio assai lontano dall’eroe tutto d’un pezzo della tradizione, che in questa versione risulta assai fragile, un eroe divino che resta estraneo al mondo in cui è inviato dal santo Graal e in cui non riesce a trovare la propria identita’.

L’unica via d’uscita è l’ amore puro e assoluto di Elsa, la fanciulla che salva dall’ingiusta, infamante accusa di aver soppresso il fratello minore Gottfried. Ma quando la malefica e diabolica azione di Ortrud semina il dubbio nella mente di lei fino a farle dubitare della vera identità di Lohengrin tanto da porgli la domanda proibita (Elsa aveva giurato di non chiedergli mai della sua identita’), egli si rivela, ma la sua natura divina riprende il sopravvento e non gli resta che abbandonare le vicende terrene, tornandosene da dove è venuto.

Guth e Schmidt hanno realizzato per questo Lohengrin una scena fissa per tutto lo spettacolo, ”una sorta di gabbia pesante – così Guth stesso la descrive – che pare una fabbrica o una caserma, in cui si iscrivono i riferimenti alla natura e alla fantasia”. Un tavolo e un lampadario ne fanno un ambiente chiuso, alti muri tutt’intorno con ballatoi e un albero centrale ne fanno un cortile dove il re arringa il popolo di Brabant. In un angolo della scena un pianoforte simboleggia forse un luogo dove a turno i personaggi si rifugiano. Il cigno bianco non trasporta la barca con Lohengrin, che compare invece a terra, rannicchiato in posizione fetale, quasi fosse partorito dalla mente di un’Elsa che, accusata d’infamia da Telramund, chiede l’aiuto di un eroico cavaliere che la salvi.

Lohengrin appare debole, fragile, impacciato, tremante in una dimensione magica, un po’ morbosa, perché è un eroe divino ancora non compiutamente umano. Ma tutti vedono ugualmente in lui, vincitore nel ‘giudizio di Dio’ contro Telramond, un salvatore, un uomo del destino che salverà la terra di Brabant.

Le ali del cigno appaiono a tratti nel braccio di un bambino, poi di un giovane, infine di un adulto morente trasportato a braccia. E Guth avverte: ”L’opera di Wagner contiene elementi psicoanalitici molto forti, soprattutto nel rapporto tra i due protagonisti, Lohengrin ed Elsa, che vivono di proiezioni e non di sentimenti reali”.

Nel secondo atto le pareti del cortile si incupiscono nella notte in cui Ortrud confida a Telramund le trame del complotto ai danni di Elsa e Lohengrin. Nel terzo, il gioco di luci rende i muri trasparenti e azzurrini, simili alle acque di un lago, mentre al centro, una boscaglia e un pontile fanno da cornice all’amore fra i due giovani, prima che Elsa, ponga all’eroe la domanda fatale.

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