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Ballarò, Giannini: “La Rai mi può licenziare, il Pd no”

di Maria Elena Perrero |3 Febbraio 2016 1:01

Massimo Giannini

ROMA – Ballarò, Massimo Giannini: “La Rai mi può licenziare, il Pd no”. Replica così il conduttore del talk show di RaiTre alle polemiche seguite alla sua dura frase sui rapporti tra governo e banche, in riferimento alla ministra delle Riforme costituzionali Maria Elena Boschi per il caso Banca Etruria, di cui il padre della ministra era stato vicepresidente.

Su twitter Giannini, ex vicedirettore del quotidiano la Repubblica, ha scritto:

“La Rai mi può licenziare. Il Pd, con tutto il rispetto, proprio no”.

E nel suo editoriale a Ballarò, ha rilanciato:

“E’ penoso che per contestare un programma che si considera fuori linea si usi un argomento così strumentale e si trasformi in un’offesa personale al ministro Boschi una frase che per il significato ed il contesto nel quale l’ho pronunciata non poteva prestarsi ad alcun equivoco. Ho parlato di rapporti incestuosi per definire quel groviglio di relazioni molto più larghe della cerchia della famiglia Boschi, usando un termine del tutto privo del significato letterale che Alzaldi e gli altri esegeti del Pd hanno voluto leggervi. Lo hanno capito tutti, ma nel Pd c’è qualcuno che fa finta di non capire e utilizza questo episodio come una clava contro Ballarò, vezzo peraltro non nuovo (la polemica su Rambo, e non vado oltre). La cosa mi indigna e mi dispiace molto ma non capisco di cosa dovrei chiedere scusa, perché il fatto semplicemente non sussiste. Quello che sussiste è l’ennesimo paradosso di un palazzo che, di fronte ai tanti problemi che assillano l’Italia, perde tempo a sollevare bufere di questo genere. Quello che sussiste, ancora, è l‘ennesimo attacco a chi cerca di fare solo informazione, l’ennesima torsione del concetto di servizio pubblico, utile se serve a chi governa, molto più che a chi guarda la televisione. Non sono paladino di niente, non voglio vestire i panni del martire, ma resto convinto del fatto che non spetta alla politica decidere i palinsesti e chi può lavorare nella più importante azienda culturale di questo paese, a meno che non si debba dare ragione a Saviano quando scrive: “ciò che sotto Berlusconi era inaccettabile, adesso è grammatica del potere”. La Rai mi può licenziare, il partito democratico, con tutto il rispetto, proprio no”.

Scrivendo di Pd, Giannini fa riferimento al segretario della Vigilanza Rai Michele Anzaldi, arrivato a chiedere la sua testa per una frase pronunciata durante Ballarò a proposito del rapporto tra banche e governo.

Subito la minoranza dem aveva preso le distanze da quella frase, mentre i senatori Federico Fornaro e Miguel Gotor si erano chiesti quale fosse “a leggere certe dichiarazioni e richieste di licenziamento” la differenza tra la “vecchia Rai e quella post riforma” renziana, e il deputato ed ex capogruppo alla Camera Roberto Speranza aveva invitato a lasciare fare le “pagelle” dei giornalisti “a Grillo e Berlusconi”, perché il Pd “deve stare sempre dalla parte dell’informazione”.

Come ricostruisce la Repubblica,

“la polemica non era destinata ad animare una querelle puramente interna al Pd. Con Forza Italia e Movimento 5 stelle schierati equamente sui due fronti. Da una parte si levava la voce di Maurizio Gasparri, per tornare a rinfacciare ai vertici Rai di aver puntato a caro prezzo sull'”esterno” Giannini, capace di ascolti, sottolineava il senatore azzurro, inversamente proporzionali al suo cachet, invece di valorizzare le risorse interne dell’azienda. Grillo dal canto suo evocava una delle immagini simbolo della dittatura, l’olio di ricino, per denunciare l’attacco della “Rai fascista” incarnata da Anzaldi contro il “non allineato” Giannini. Mentre i parlamentari pentastellati in Commissione di Vigilanza incalzavano il Pd: “Dica chiaramente che vuol sostituire il direttore del Tg3 (Bianca Berlinguer, ndr) e il conduttore di Ballarò con due renziani di stretta osservanza”.

Il tweet di Giannini

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