“L’Aquila grandi speranze”, sui social diventa “grandi bugie”. La Pezzopane: “Marco Risi, ma perché?”

"L'Aquila grandi speranze", sui social diventa "grandi bugie". La Pezzopane: "Marco Risi, ma perché?"
“L’Aquila grandi speranze”, sui social diventa “grandi bugie”. La Pezzopane: “Marco Risi, ma perché?”

ROMA – Un grande cast (Barbareschi, Tirabassi, Lodovini, Finocchiaro…), un regista di solida reputazione (Marco Risi), una storia vera, la prima serata di Rai1, ascolti lusinghieri, tutto questo non è bastato a molti aquilani per apprezzare la fiction “L’Aquila grandi speranze”: sui social network, già subito dopo la prima puntata, si è riversata l’indignazione di chi sperava, appunto, in un racconto veritiero, corrispondente alla realtà, riconoscibile proprio da chi quel dramma lo ha vissuto sulla propria pelle. 

E, d’altra parte, quella diretta da Risi è davvero una fiction, cioè una vicenda inventata con protagonisti di fantasia ambientata nel disastrato scenario post terremoto. Ma le troppe licenze artistiche, secondo chi critica, falsano il racconto, banalizzano il dramma. Solo le più significative (citiamo il quotidiano aquilano Il Capoluogo): un misto di marchigiano-romano-ciociaro che mortifica il dialetto abruzzese parlato dai residenti, le bande di ragazzini che imperversano nella città distrutta che nemmeno nella “paranza dei bambini”, l’alunno eroe che va a scuola in bici percorrendo distanze da Giro d’Italia…

Per non parlare del riferimento al “popolo delle carriole” nato dalla volontà “di un padre di famiglia della borghesia aquilana con casa intatta, in centro”, figura nella quale si è riconosciuta, suo malgrado, Anna Pacifica Colasacco, attivista della prima ora.

Stefania Pezzopane: “Marco Risi, ma perché?”. “Un giudizio di inappellabile contrarietà è giunto dalla ex presidente della Provincia nei giorni del sisma Stefania Pezzopane (oggi deputata Pd). “Una brutta cosa che non meritavamo. Le nostre speranze non le avete né cercate, né comprese. Non c’erano e non ci sono bambini incattiviti organizzati in bande a scorrazzare nel centro storico. I nostri figli allora erano lontani, sulla costa o nelle tendopoli, a provare a superare la paura e a ricostruire vita e serenità. Non parliamo dialetti sbilenchi, che non siano l’aquilano. Non ci piace il terremoto e nemmeno chi usa L’Aquila e quella tragedia come un set per raccontare una banale e bruttina vicenda. Ricordatevi sempre tutti, che qui sono morti 309 innocenti. Aiutateci o lasciateci in pace. Così ci fate solo danni. Marco Risi, ma perché?”. (fonte Il Capoluogo)

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