Otto e Mezzo, giornalista russa (tv Ministero Difesa): “A Mariupol nessuna guerra…”. Ma perché invitarla?

La giornalista russa della tv del Ministero della Difesa invitata a Otto e Mezzo nega la guerra e la mattanza di Mariupol: cosa si aspettava la Gruber?

di Redazione Blitz
Pubblicato il 13 Aprile 2022 - 15:36 OLTRE 6 MESI FA
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Lilli Gruber (Ansa)

A Otto e mezzo su La7 va in scena la propaganda russa che nega la guerra a dispetto di ogni evidenza fattuale. Colpa non della redazione o della conduttrice Lilli Gruber, beninteso. Anche se non è proprio limpida la necessità di convocare in trasmissione una giornalista che lavora per la tv del Ministero della Difesa e dando ragione a chi lamenta un uso perverso del concetto di pluralismo nei talk show.

E, infatti, Nadana Fridrikhson, non può far altro che ribadire le “verità alternative” spacciate dai suoi capi. Per cui non dice guerra, piuttosto “operazione militare speciale”, anche perché in Russia sarebbe un reato.

Per cui invasione è termine inappropriato. “La Russia non ha occupato il Donbass, ma ne ha riconosciuto l’indipendenza… L’obiettivo russo era proteggere le persone che abitano questo territorio”.

“Sono stata a Mariupol, non è guerra”

E via ridimensionando, fino a negare la mattanza di Mariupol, dove si combatte corpo a corpo. “Ho visitato Mariupol e parlato con le persone che hanno deciso di rimanere nei propri appartamenti.

Non dico che tutti abbiano alzato bandiera rossa, ma molti di loro sono stati testimoni dei crimini commessi dal gruppo Azov e dai militari delle forze armate ucraine.

Come quello della clinica ostetrica n.3, dove c’erano tante donne che stavano per partorire e le forze armate hanno tolto il generatore di energia, dicendo che servisse per la guerra”.

Lilli Gruber: “Mi fido più del New York Times…”

Gruber finalmente la richiama a un minimo di decoro professionale quando la Fridrikhson la accusa, insieme a noi tutti, di abboccare alle manipolazioni propalate dagli americani.

Io personalmente mi fido di più di un giornalista del New York Times che lavora per un quotidiano con una lunghissima tradizione di giornalismo autonomo e indipendente, critico verso il potere, che opera in un Paese dove la libertà d’espressione dei giornalisti viene tutelata e garantita molto più di quanto accada per un giornalista russo, costretto a utilizzare tutta una serie di parole e adottare verità costruite perché se non lo fa viene messo in carcere. Sono cose che qui non accadono ed è una differenza che devo ricordare», le parole di Gruber.

Ineccepibili. Ma allora perché invitarla?