ROMA – Pippo Baudo ricorda “quando scoprii Giuse Grillo e Antonio Ricci ed io decidemmo di chiamarlo Beppe. E quel giorno che andai con Renzo Arbore da Padre Pio…”. Il decano della televisione italiana ripercorre la sua vita in un’intervista ad Aldo Cazzullo del Corriere della Sera.
Dall’infanzia in Sicilia, figlio di un padre democristiano e antifascista, la fuga durante lo sbarco degli americani in Sicilia, gli esordi nel mondo dello spettacolo, a Catania, dove fondò una compagnia teatrale. E poi, dopo la laurea in giurisprudenza, il debutto a Roma.
“Mi presentai ai cancelli di via Teulada da questuante. Pensavo la Rai come Broadway; pareva un supercarcere. Mi chiesero quale provino volessi fare. Risposi: tutti. Pianista, cantante, attore, presentatore. Mi esaminò Antonello Falqui, convinto che i siciliani non sapessero l’italiano. “Pure Cavour pensava che parlassimo arabo” replicai. Il responso fu: “Buona presenza. Adatto a spettacoli minori””.
Venne mandato ad esibirsi per gli emigrati:
“Girammo Tunisia e Libia, dove comandava ancora re Idris. Poi Svizzera e Belgio: Charleroi, Mons, Liegi. A Marcinelle scesi in miniera su un ascensore tutto catene; quando sparì la luce ebbi una crisi, mi fecero risalire. A sentir cantare in italiano i minatori piangevano come vitelli”.
E poi gli episodi curiosi con gli amici-colleghi. Come quella volta che andò da Padre Pio con Renzo Arbore:
“Padre Pio ci trattò malissimo. Renzo chiese se nella vita avrebbe dovuto fare l’artista o l’avvocato. Rispose: “Facisse cchi vvole!”. Poi puntò il dito contro di me e domandò: “Vuie state accà pe’ fede o pe’ curiosità?”. Fui sincero: “Per curiosità”. Mi indicò la porta: “Iatevenne!. Mentire a Padre Pio? Un santo? Sarebbe stato molto peggio”.
Tra i ricordi, anche la lunga e stretta amicizia con Mike Bongiorno:
“Il successo era arrivato con Settevoci. Mike mi mandò a chiamare: “Sei bravo, hai futuro. Per questo tu e io dobbiamo cominciare a sfotterci”. Non capivo. Mi spiegò: “Agli italiani queste cose, i dualismi, piacciono. Diventeremo il Coppi e il Bartali della tv”. Con il tempo siamo diventati amici fraterni. Andavo a trovarlo, lui metteva a letto moglie e figli, e cominciava a raccontare: l’America, la madre, i primi amori. E poi San Vittore, i fascisti, Montanelli, suor Enrichetta che rischiò la vita per salvare i prigionieri. Ogni anno a Natale gli mandavo una cassa di arance, e lui mi mandava una cassa di mele. (…) Quando morì, portai la bara con i tre figli. Parlò prima Fabio Fazio, poi Fiorello. Per fare lo spiritoso, disse: “Quando morirà Baudo mica gli faranno il funerale di Stato”. Daniela mi sussurrò: “Ora tocca a te”. Non era previsto, ma le parole mi vennero spontanee: “Noi siamo coristi; l’unico solista eri tu”. Ci fu un lungo applauso. E a Daniela continuo a mandare le arance».
Carlo Conti e Paolo Bonolis?
“Sono bravi, ma diversi. Conti ha fatto il dj, ha ritmo. Bonolis ha il gusto della citazione, è uno che legge”.
Sanremo 2017 è stato un successo, fa notare il cronista.
“Sì. Ma i miei erano un’altra cosa. Share del 70%. Venivano Madonna, Springsteen, Whitney Houston, Beyoncé, Sting, Elton John, Britney Spears… E poi stavolta ha vinto una canzone che durerà tre mesi, non di più. Non dovevano trattare così Gigi D’Alessio e Al Bano”.
L’unica stoccata è per Barbara D’Urso, che batte Sanremo negli ascolti:
“È un genere pettegoliere, che la Rai non può e non deve fare. La D’Urso è stata mia valletta a Domenica In, con diritto di poche parole. Ora si sta prendendo gli arretrati”.
Ben diverso il giudizio su Grillo:
“Andai a vedere il suo show alla Bullona, un locale di Milano. Ero l’unico spettatore. Lo vidi e chiesi: “Quando si comincia?”. “Se ti siedi, subito” rispose. Fece un monologo di mezz’ora solo per me. Meta-cabaret: “Qui devi ridere, qui devi piangere…”. Mi dissi: questo è un genio. Gli organizzai un incontro con i dirigenti Rai, ma non c’erano le telecamere. Grillo improvvisò un dialogo immaginario con la madre: “Mamma faccio un provino per la tv, ma non c’è la tv…”. Dissero: questo è un genio. Così Beppe si trasferì a Roma con un suo amico: Antonio Ricci. Nel loro residence si era rotto il riscaldamento, e li ospitai a casa mia. Erano terribili, ma mi facevano morire dal ridere. Grillo allora si chiamava Giuse; con Ricci gli cambiammo il nome in Beppe. I suoi testi li scrivevano pure Luca Goldoni e Stefano Benni”.
E parlando di politica, su una eventuale alleanza di Grillo con Matteo Salvini, Baudo è lapidario:
“Lo escludo. Beppe è figlio della Genova popolare. Può essere qualunquista; ma non è di destra. Se si siede a un tavolo con Salvini, dopo dieci minuti lo manda a quel paese, si alza e se ne va”.
Ha ragione Renzi o Bersani?
“Renzi. Ha commesso molti errori. Ma la scissione non risolverebbe nulla”.
Chi vince le elezioni?
“La situazione è difficile. C’è una sola speranza: Mattarella. L’uomo giusto al momento giusto. Siciliano, e democristiano”.