Rai, ipotesi riforma: vero manager a capo, 3 reti specializzate con una senza spot

Rai, ipotesi riforma: vero manager a capo, 3 reti specializzate con una senza spot
Rai, ipotesi riforma: vero manager a capo, 3 reti specializzate con una senza spot

ROMA – Rendere le tre reti ammiraglie della Rai a “specializzazione tematica”. E’ quanto è emerso nell’incontro tra Matteo Renzi ed i membri Pd della Vigilanza, per discutere della riforma della Rai che verrà presentata domani (giovedì 12 marzo) nel Consiglio dei Ministri. L’ipotesi sarebbe di una rete generalista, una per l’innovazione, sperimentazione e nuovi linguaggi, e una a carattere più culturale, preferibilmente  senza pubblicità.

Oltre a queste prime indiscrezioni, a Palazzo Chigi circola un documento in cui c’è scritto che “la Rai non è una municipalizzata di provincia ma la prima industria culturale e non può sottostare a procedure cavillose o avere l’incubo della Corte dei Conti”.

Nel testo si parla della necessità di “una guida manageriale“, un capo che decida e si sostiene che “non servono architetture barocche o la creazione di qualche sofisticata ingegneria che complichi ancora di più le cose” ma “una guida manageriale vera, come quella di un grande player internazionale”.

L’ambizione della “creatività e della professionalità” della Rai, per il documento, “ha le carte in regola per gareggiare con i grandi network a livello mondiale, entrare nei mercati internazionali delle produzioni di eccellenza, per esportare all’estero le fiction che raccontano l’Italia ma deve essere messa nelle condizioni di farlo”.

Come spiega Repubblica

“Il governo ha in mente un modello che separi nettamente la gestione dal controllo. Lo schema verso cui ci si orienta è invece quello manageriale tipico di una spa: amministratore delegato forte e regole del codice civile. Con l’obiettivo, recita lo stesso documento secondo quanto riferito da fonti parlamentari, di valorizzare le “creatività e professionalità” dell’azienda”.

“Il nodo da sciogliere resta quello legato all’equilibrio di potere tra chi nomina l’amministratore e chi controlla. In ballo c’è ancora la questione della commissione di Vigilanza: Renzi non vorrebbe rinunciarci, come invece suggerisce il Movimento 5 Stelle. Anche perché sarebbe inutile cancellare la Vigilanza se comunque si intende affidare a un organismo parlamentare il controllo delle linee di indirizzo del servizio pubblico. Ma la Vigilanza (ovvero i partiti) sarà privata del potere decisivo che le ha affidato la Gasparri, ovvero quello di indicare i nove membri del Consiglio d’amministrazione. Proprio rispetto al Cda, resta da stabilire a chi spetterà l’indicazione sui membri del Consiglio stesso. Le ipotesi sono due: la prima prevede un Consiglio di sorveglianza con membri nominati dal governo e dall’Autorità di garanzia che, a sua volta, dovrebbe scegliere il Cda vero e proprio, ridotto da nove a cinque componenti. La seconda riporta invece tutto in capo al Parlamento (che non convince il premier perché verrebbe meno la separazione tra gestione e controllo), al quale resterebbe l’elezione del Cda come del resto elegge altri organi di garanzia quali i componenti della Consulta o del Csm. I nomi dei cinque sarebbero però pescati in una “rosa” indicata da soggetti esterni come l’Agcom, la Conferenza Stato-Regioni, il Consiglio dei rettori, la Corte Costituzionale”.

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