ROMA – La concessione che assegna alla Rai il ruolo di tv di Stato finanziata dalle tasse dei cittadini, il canone, scadrà il 6 maggio 2016. Per intenderci, il binomio Stato-tv pubblica non è un articolo di fede, ma una scelta condivisa che, a certe condizioni, può diventare reversibile: il canone, teoricamente, può essere messo all’asta, un bando può decidere di assegnare il contratto di servizio (quello che giustifica il canone) ad altri soggetti economici o industriali. E la Rai essere privatizzata, fatta a pezzi, una rete di qua, le infrastrutture di là.
Il ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato (Pd) e il viceministro Antonio Catricalà con le deleghe alla Comunicazione stanno preparando il terreno perché questo importante passaggio diventi l’occasione per una discussione partecipata al massimo grado: si vuole lasciare agli italiani la possibilità di capire quale tv pubblica gli italiani vogliono guardare, che tipo di prodotto sono disposti a pagare. O almeno, queste sono le intenzioni ufficiali. Se poi ci sono ragioni e obiettivi più profondi, lo vedremo con il tempo.
Ad Antonio Catricalà il compito di illustrare in Commissione Cultura della Camera, nel pomeriggio di mercoledì 19, la materia. Nella mattina, il “garzone di Stato”, come si autodefinisce lo stesso Catricalà (ha servito da sottosegretario di Monti, è stato presidente di Autorithy) ha smentito su Radio Radicale l’articolo del Fatto Quotidiano (“Così smantellano la Rai”) che gli attribuisce questa idea:
“Nel mondo delle cose possibili, si può anche ritenere valida la possibilità di fare un bando pubblico e affidare la concessione statale al migliore”
Nel mondo delle cose reali, potremmo aggiungere, quel soggetto è solo l’attuale monopolista privato (chi è il pazzo che si metterebbe a fare la concorrenza a Berlusconi sulla raccolta pubblicitaria?). Non siamo sicuri che Catricalà abbia spiegato meglio la sua posizione quando afferma ancora a Radio Radicale:
“Io non credo che sia probabile che altri soggetti pubblici attrezzati come la Rai, in termini di competenze, di risorse, di frequenze e di potenza dal punto di vista trasmissivo possano coprire il servizio pubblico meglio di quanto non faccia la Rai. Però è chiaro che il Parlamento italiano potrebbe dire ‘vorrei che andasse al migliore tra tutti i possibili competitors’. Quello che noi possiamo fare è preparare il terreno. In che modo? Oggi abbiamo la possibilità di fare una mini consultazione, anche limitata nel tempo, di soggetti estranei alla Rai e al circuito tradizionale di consultazione, ferme restando le competenze della commissione parlamentare di Vigilanza, sul contratto di servizio che stiamo andando a rinnovare. Questa potrà essere poi una occasione e un banco di prova per sperimentare una consultazione più vasta su quello che noi intendiamo debba essere il servizio pubblico”.
Per fortuna, subito dopo il viceministro si è affrettato a rassicurare dipendenti e cittadini che la Rai non farà la fine della tv pubblica greca, chiusa per decreto. D’altronde, una valutazione della tv pubblica in vista di una sua privatizzazione, è già disponibile. 2 miliardi circa al netto dei debiti, l’ha fatta Mediobanca. La Rai, rilevano gli analisti di Piazzetta Cuccia, vale circa 2,47 miliardi, a cui vanno sottratti 366 milioni di debiti netti al 31 dicembre 2012.
A proposito di mini consultazioni e impatto politico della questione stupiscono non poco alcune considerazioni contenute nel rapporto di Mediobanca. In quelli che genericamente vengono definiti “risvolti sociali” della privatizzazione Mediobanca si è accorta che:
a) “Sono coinvolti più di 13 mila lavoratori e non saremmo sorpresi se i sindacati minacciassero diversi giorni di sciopero”;
b) “Il potere esercitato dal Parlamento sulla Rai è tradizionalmente notevole”.
Un po’ naif come giudizio, comunque sufficiente, insieme con tutto il rapporto, a far saltar su l’ Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai:
“Mentre le Corte di Giustizia greca annulla la chiusura per decreto della Tv di Stato ERT, in Italia Mediobanca ‘suggerisce’ la vendita della Rai. Obiettivo: incassare 2 miliardi di euro. […] “Ci chiediamo inoltre se dietro questo ‘suggerimento’ di Mediobanca non si nascondano conflitti di interessi. Sarà un caso, ad esempio, che tra gli azionisti di Mediobanca ci sia anche Fininvest? Di una cosa siamo certi: chi vuole privatizzare la Rai ha interessi che nulla hanno a che vedere con il risanamento dei conti”.
E il potere esercitato in Parlamento della seconda gamba del duopolio effettivo, Berlusconi,come dobbiamo valutarlo? E quello sul governo delle larghe intese: sono in quota per conto di chi le deleghe televisive di Catricalà? Al “politico-imprenditore-concorrente di Arcore” una Rai diversa, qualunque sia, magari con il sigillo della volontà popolare, non può che far piacere. Dobbiamo aspettarci un dibattito permanente sulla tv che verrà. Mini consultazioni, commissioni parlamentari, sondaggi, appelli, una discussione infinita dove parlino tutti e non sia veramente ascoltato nessuno, dove ognuno sia invitato a disegnare la tv dei suoi desideri che, come il treno di Celentano, all’incontrario va.