Roma, un turismo diverso. Viaggio attraverso i luoghi dell’occupazione nazista

di Francesco Montorsi
Pubblicato il 3 Settembre 2013 - 06:04 OLTRE 6 MESI FA
Roma, un turisimo diverso. Viaggio attraverso i luoghi dell'occupazione nazista

Roma, veduta aerea della Piramide Cestia (foto Lapresse)

ROMA – Roma attrae ogni anno milioni di turisti. Nella città eterna si vengono a cercare le imponenti e malinconiche rovine del mondo antico, l’armoniosa magnificenza del Rinascimento, la vivacità del barocco ed uno sterminato numero di tesori collezionati nell’arco di secoli da papi, principi e re. Tutto questo cerca ogni anno quello o quella che compie un gesto millenario, il pellegrinaggio nell’Urbs. Pochi sono però i turisti chi si avventurano per Roma seguendo il percorso della tragica memoria della seconda guerra mondiale.

Roma, felice coacervo di epoche e stili, è una città che ha subito, nella sua lunga storia, molteplici saccheggi, violenze e stupri. L’ultima ferita è quella che le inflissero in Tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Dal settembre 1943 al giugno 1944, la capitale del regno d’Italia – improvvisamente e maldestramente sfilatosi all’abbraccio mortale con Hitler – fu militarmente occupata dalla Germania nazista. Un giornalista del quotidiano New York Times ha recentemente intrapreso un pellegrinaggio della memoria, per sfiorare con mano le cicatrici di quei giorni che ancora affiorano sulla superficie della città eterna. «Con una buona mappa, qualche biglietto degli autobus ed un po’ d’immaginazione, si può seguire questo doloroso e affascinante capitolo della storia di Roma».

Tra i primi luoghi della memoria c’è Porta San Paolo. All’ombra della sobria Piramide Cestia, non lontano dal Circo Massimo e vicino al Gazometro, Porta San Paolo è oggi un importante snodo del traffico cittadino. Nelle giornate estive sfilano giovani e turisti con asciugamani sulle spalle ed infradito ai piedi: vanno ad imbarcarsi sul trenino che li porterà fino alla spiaggia di Ostia. Qui, settant’anni fa, il 10 settembre 1943, un manipolo di soldati e civili italiani tentarono eroicamente di resistere ai tedeschi che si apprestavano ad occupare Roma all’indomani dell’Armistizio. Nella battaglia morirono quasi seicento italiani difendo la città contro truppe nemiche più numerose e meglio preparate. Solo una placca commemorativa ricorda oggi al romano ed al turista quella resistenza.

Prendendo a San Paolo un tram dall’aspetto trasandato, è facile raggiungere San Lorenzo, quartiere di tradizione operaia prima e universitaria poi. Qui, nel luglio 1943, poco prima della caduta di Mussolini, fu inferta a Roma la sua più tragica mutilazione. Caccia americani sganciarono decine di bombe con l’intento di annientare lo snodo ferroviario strategico di Roma. Morirono tra i 2000 e i 3000 romani. La Basilica di San Lorenzo fuori le mura, una delle Sette Chiese, in parte composta nel sesto secolo, fu gravemente danneggiata nel bombardamento. Chi ama la memoria di Roma o chi, passeggiando per la capitale, vuole semplicemente fuggire alla calura estiva, può entrare nel Chiostro della Chiesa ed osservare un frammento di bomba americana. Anche qui, come altrove a Roma, il sacro ed il profano si mescolano, si compenetrano.

Le atrocità del nazismo sono legate, nella memoria dei romani, a una strada in particolare, Via Tasso. Durante i lunghi mesi dell’occupazione, Via Tasso fu il luogo più temuto dalla città. Qui, come racconta il capolavoro di Roberto Rossellini «Roma città aperta», i prigionieri politici vivevano in oscure e minuscole celle, aspettando il loro turno per essere torturati. Nei locali di quello che fu il Quartier Generale della Gestapo, è oggi installato il Museo Storico della Liberazione. Alcune celle sono rimaste tale e quali come il giorno in cui i nazisti fuggirono. Le scritte sui muri ricordano chi ha vissuto, sofferto ed è morto qui. Sul muro di una cella si legge ancora, dopo tanti anni, «Addio Piccola mia, non serbarmi rancore».

Molti altri sono i luoghi della memoria – il litorale laziale vicino ad Anzio ed il monumento funebre delle Fosse Ardeatine in primis. Il capolinea del pellegrinaggio è però naturalmente il Ghetto di Roma. Qui nella notte del 16 ottobre 1943, le SS del tenente colonnello Herbert Kappler cominciarono il rastrellamento del quartiere ebraico, secondo le direttive dei gerarchi nazisti seguaci della Soluzione Finale. 1024 persone furono caricati nei vagoni piombati che, senza quasi fermarsi, li portarono nell’inferno di Auschwitz. Di quei mille «sommersi», solo 16 persone torneranno.

Oggi il ghetto di Roma è un vivace quartiere della capitale. Contiguo alla chiassosa Trastevere e alla centrale Piazza Venezia, abbellito dal fiume Tevere e ingentilito da rovine romane, il quartiere non presenta quasi ricordi – se non la solita placca commemorativa – di quella giornata infame di 70 anni fa. E tra pochi anni, quando anche gli ultimi sopravvissuti, avranno consumato i loro giorni, nessuno potrà più testimoniare di aver visto coi suoi occhi quel buio capitolo nella storia romana. Allora, non basterà una placca ma la memoria dovrà essere abbastanza forte da sopraffare il silenzio.