E’ tornato di grande popolarità – oggi i social impongono la viralità come fattore di successo mediatico – un filmato di dieci anni fa, in cui un ambientalista e divulgatore scientifico si è fatto mangiare vivo, alla lettera, da un esemplare di 6 metri di anaconda verde, nelle foreste amazzoniche del perù.
Paul Rosolie voleva scuotere le coscienze – se si tollerano le frasi fatte – sulla crisi ambientale e la salvaguardia dell’Amazzonia e la sua foresta pluviale.
“L’ultima cosa che ricordo è stata la sua bocca spalancata, poi tutto è diventato nero. Mi sono abbandonato e l’ho lasciato fare…”. Sì, ma come ha fatto a sopravvivere all’inghiottimento, novello Giona o Pinocchio? “Dovevo essere in grado di sopravvivere alla parte dello schiacciamento. Poi ci siamo assicurati che potessi respirare nel caso in cui fossi riuscito a entrare nell’anaconda”. Ti pare facile.
Paul si era premunito indossando una tuta in fibra di carbonio. L’anaconda si pappa le sue vittime attraverso un’azione tremenda di costrizione, di lento e inesorabile soffocamento. Paul ne è uscito vivo. Si è fatto notare, anche a distanza di anni. Quanto alla causa ambientalista, anche allora il video nel programma “Eaten alive” raccolse più contestazioni che applausi.
L’organizzazione Peta (Peolple for Ethical Treatment of Animals) chiese di cancellare dalla programmazione quella puntata e su internet fu lanciata una petizione su Change.org, per “boicottare Discovery Channel, contro gli abusi sull’animale”.
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