Papa Francesco in Albania: “Uccidere in nome di Dio è sacrilegio”. Poi piange

Papa Francesco in Albania: "Uccidere in nome di Dio è sacrilegio". Poi piange
L’abbraccio di papa Francesco al sacerdote sopravvissuto

TIRANA – “Nessuno può usare il nome di Dio per commetter violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano!”: papa Francesco in Albania torna a parlare dei crimini commessi dai terroristi che si dicono islamici. Nell’incontro interreligioso all’Università cattolica di Tirana il pontefice ha parlato della “intolleranza”, dell'”uso distorto della religione”, “nemico insidioso in diverse regioni del mondo”.

Per il Papa non può bastare il sistema legislativo a garantire il diritto alla libertà religiosa “che pure è necessario”. La libertà di professare la propria religione “è uno spazio comune, un ambiente di rispetto e collaborazione che va costruito con la partecipazione di tutti, anche di coloro che non hanno alcuna convinzione religiosa”.

Ma in alcune regioni del mondo la questione della libertà religiosa è tutt’altro che pacifica.

“Non possiamo non riconoscere come l’intolleranza verso chi ha convinzioni religiose diverse dalle proprie sia un nemico molto insidioso, che oggi purtroppo si va manifestando in diverse regioni del mondo. Come credenti, dobbiamo essere particolarmente vigilanti affinché la religiosità e l’etica che viviamo con convinzione e che testimoniamo con passione si esprimano sempre in atteggiamenti degni di quel mistero che intendono onorare, rifiutando con decisione come non vere, perché non degne né di Dio né dell’uomo, tutte quelle forme che rappresentano un uso distorto della religione. La religione autentica è fonte di pace e non di violenza”.

Papa Francesco si è anche espresso contro il relativismo, il “fantasma” che rischia di essere abbracciato da chi, nel dialogo, non mantiene la propria identità.

“Ognuno ha la propria identità religiosa, è fedele. Non si può fare finta di avere un’altra identità, non serve, non aiuta. Quello è relativismo. Ognuno di noi offre la propria identità nel dialogo con l’altro. Cammina insieme senza tradire la propria identità, senza mascherarla, senza ipocrisia”.

Il pontefice ha anche pianto mentre ascoltava le testimonianze dei sopravvissuti al martirio in Albania. Troppo forti le parole di chi ha vissuto quegli anni di repressione. A ricordare le sofferenze è don Ernest Simoni. Subì la prigionia, le torture ma

“la Divina Provvidenza ha voluto che la mia condanna a morte non venisse eseguita. Volevano che parlassi contro la Chiesa ma non accettai. Santità prego perché il Signore vi dia salute e forza”.

Poi l’abbraccio commosso e le lacrime.

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